X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Summer

Pubblicato il 15 novembre 2018 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Summer

Che bello veder fiorire il cinema su uno schermo pronto ad accoglierne i semi e ad assecondarne i germogli sul campo fertile della parete bianca. Quello di Kirill Serebrennikov è sempre stato un cinema dotato di audacia, morbosa intensità e lirismo, declinati con la grazia di un adolescente maturo, anzi, cresciuto forse troppo in fretta. Il regista russo, nato nella ‘cosacca’ Rostov 48 anni fa, attualmente agli arresti domiciliari per problemi con il governo del suo paese sui quali sarebbe inutile sindacare in questa sede, ha inviato a Cannes un film che letteralmente esplode nel suo formato panoramico illuminato da un bianco e nero d’argento, materico e grumoso come da tempo non se ne vedevano al cinema: Leto (L’estate). È il racconto del sogno di un’epoca su cui pochissimo si sa fuori della Russia, durante l’ultimo stanco decennio del Comunismo Sovietico di lì a poco scosso dai prudori della Perestrojka, ma tutto è tranne che il solito film di dolente per quanto sacrosanta denuncia. Echi del vento del ‘68, che aveva squassato l’Occidente mutandone per sempre le abitudini sociali e culturali, erano riusciti a penetrare anche nella blindatissima Unione Sovietica sulle note ‘rivoluzionarie’ del rock e delle novità musicali che dai Beatles fino al Punk diedero voce alla irriducibile e un po’ anarchica voglia di libertà delle nuove generazioni. Per quanto controllata dal governo Comunista, la gioventù sovietica non restò esente dal fascino dei nuovi ritmi e delle nuove sonorità. Leto mette in scena, ricordandoci a intervalli più o meno regolari attraverso un personaggio che si rivolge agli spettatori guardando direttamente in camera e ci dice che ‘tutto questo non è mai esistito’, una fantasia che dipinge una possibile scena di ‘Rock Sovietico’, seguendo le vicende artistiche e sentimentali di Mark Naumenko, un rocker carismatico che si esibisce in teatri dove i giovani ascoltano seduti composti come a un concerto di Čaikovskij, vigilati da solerti funzionari di partito che hanno passato al setaccio i testi dei brani eseguiti per verificarne l’aderenza agli ideali del Comunismo. A Mark si unisce, per riprenderne inizialmente le orme e proseguire poi verso uno stile tutto proprio e più personale, il più timido ma determinato Victor, futuro frontman dei Kino, tra le voci più interessanti del Punk Rock sovietico degli anni ’80. In questo ambito ‘mai esistito’ e reso possibile dalla finzione cinematografica, Serebrennikov infonde alla Leningrado (oggi San Pietroburgo) di quegli anni ancora tristi e bui un brivido di trasgressiva vitalità, all’insegna di un immaginario musicale e visivo proprio di una generazione di giovanissimi, come gli imberbi eroi del suo film. Grazie alla spregiudicatezza di uno stile libero di abbandonarsi ai voli pindarici di improvvisati quanto immaginari videoclip, pretesto per inserire nel racconto i classici più noti del Rock internazionale, realizzati con soluzioni grafiche che secondo chi scrive sono felicissime incursioni inedite nell’animazione contemporanea chiamate al servizio di brani come Psycho Killer, The Passenger o Perfect Day, il film coglie nel suo percorso ventilato dalla giovinezza e a tratti squarciato da momenti riflessivi di tenera, ingenua intimità e visionaria poesia tutto il bello degli anni verdi di chi coltiva il sogno della creatività artistica, e si misura con il pubblico più o meno numeroso dei club dove gli capita di esibirsi, e con il privato delle proprie personali vicende sentimentali. Leto non è certamente un film perfetto, e accusa qua e là qualche lentezza o smarrimento, subito recuperati, tuttavia, dal cinema sincero e, come si diceva all’inizio, germogliante di Serebrennikov, con ideali fonti di ispirazione da ricercarsi nel secondo Heimat di Edgar Reitz, o in buona parte di quel cinema anglofono dagli anni ’60 agli anni ’80 (per meglio intenderci: da Help di Richard Lester a Quadrophenia di Franc Roddam) che provò a raccontare la musica di quegli anni e a coglierne, con esiti frequenti e felici, lo spirito, eppure restando sempre così maestosamente, splendidamente e fulgidamente russo.


CAST & CREDITS

(Leto); Regia: Kirill Serebrennikov; sceneggiatura: Michael Idov, Kirill Serebrennikov, Lily Idova; fotografia: Vladislav Opeliants; montaggio: Yurii Karih; interpreti: Teo Yoo, Irina Starshenbaum, Roman Bilyk; produzione: Hype Film, Kinovista; origine: Russia, 2018; durata: 126’


Enregistrer au format PDF