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Lo and Behold, un mondo (quasi) perfetto

Pubblicato il 16 ottobre 2016 da Antonio Pezzuto & Mazzino Montinari


Lo and Behold, un mondo (quasi) perfetto

Siamo lontani. Io a Bari, Mazzino tra Torino e Roma. In sala c’è Lo and Behold di Werner Herzog, e decidiamo di andarlo a vedere.
Uno va a vedersi un film di Herzog non solo perché tutti dicono che è bravo e perché è di moda dirlo, ma perché è uno di quei registi che con film come Grizzly Man o Anche i nani hanno incominciato da piccoli, ha cambiato la vita (o meglio, la percezione della vita) ad alcuni di noi. Ed è normale aver voglia di andare a vedere un “suo” film su Internet, cioè sull’Universo tutto nostro, che abbiamo creato e inventato noi, del quale dovremmo conoscere tutti i meccanismi e le variabili. Un “suo” film perché Lui - tra l’altro - ha raccontato altrove il desiderio dell’Uomo di adeguare il reale alla propria volontà, portando, ad esempio, una nave in giro per le montagne.
Ed è bello vedere questo film quando il mondo della robotica si sta rivoluzionando, quando “questi nostri tempi” stanno abbandonando la parola scritta e stanno sviluppando sguardi e voci, come possiamo vedere anche nel nuovo sistema operativo Apple. Uno vuole andare a vederlo questo film e si sentirebbe la mano di Herzog quando, per esempio, dice che vorrebbe andare su Marte con un biglietto di sola andata, o quando ribadisce che nessuna macchina potrebbe fare un film migliore del suo. E lo afferma perché le macchine non hanno cuore, penso, e senza un cuore non si può fare un film, si può forse, ma non credo, fare mainstream, non certo il cinema sperimentale e nemmeno i documentari. Mentre Herzog il cuore, anche se solo di vetro, ce l’ha.
Io lo vedo a Bari, Mazzino a Roma, e dice: «In Lo and Behold, diviso in vari capitoli, un vero e proprio saggio su Internet curato da un regista e realizzato da più autori, colpisce anche a me la voce di Herzog che rivela la sua ferma intenzione di andare su Marte (roba di un secolo fa!) senza pensare minimamente al ritorno sulla Terra. Colpisce perché in un film sul destino dell’umanità (perché di questo si tratta visto che continuamente ci si chiede da dove veniamo e dove andremo), Lui sceglie sia la dimensione umana del viaggio e dell’avventura, sia quella che di fatto annulla proprio l’umano perché il nostro mondo pieno di ripetitori, dove ci si isola in piccole stanze con delle macchine sempre più capaci di sostituirsi a noi, rimane comunque il luogo nel quale veniamo accolti e, al tempo stesso, dove appariamo al prossimo e dunque dove si istituiscono relazioni».
«Come sai - continua Mazzino - sono entrato in sala con una sorta di pregiudizio, cioè che Lo and Behold fosse speculare a Cave of Forgotten Dreams, il documentario girato nel 2010 sulla Grotta Chauvet, sito preistorico tornato alla luce dopo migliaia di anni con all’interno alcune preziose testimonianze di vita umana. Mentre vedevo il film su Internet pensavo a un Herzog che tra migliaia di anni si interrogherà sul significato sfuggevole del nostro agire, così come sei anni fa il vero Herzog ammirava i graffiti e si chiedeva quale senso avessero. Oggi come ieri ci troviamo di fronte all’ignoto e contemporaneamente lasciamo tracce del nostro esistere, che si tratti di un graffito o di un testo realizzato tramite un sistema più o meno sofisticato. Ma quali sono le possibilità che questi messaggi vengano realmente compresi? E perché sentiamo il bisogno di emetterli?»
E mi viene in mente un vecchio fumetto di Martyn Myster, si parlava di una superstizione grazie alla quale nessuno passava in mezzo a una piazza, a Bologna. Portava male si diceva. Poi, nel fumetto, in mezzo alla Piazza trovavano un cadavere o qualcosa di simile. E dicevano, nel fumetto, che se vuoi lasciare un segno della tua presenza sulla Terra, un segno che persista migliaia di anni, se vuoi avvertire, per esempio, che in un posto ci sono scorie nucleari che continueranno a essere nocive per tantissimo tempo, non puoi usare parole (le lingue scompaiono) o disegni e simboli (dopo un po’ non si capisce il significato). L’unico sistema che hai è creare una leggenda. A nessuno verrebbe in mente, per esempio, di costruire una casa in mezzo a Stonehenge. E questo lo dico solo per dire che non stiamo lasciando tracce del nostro esistere, ma anzi, razionalizzando tutto quello che vediamo, svelando i segreti, distruggendo Dio, stiamo semplicemente distruggendo ogni segno del nostro passaggio su questa Terra.
«Ad ogni modo, so bene - precisa Mazzino - che il nostro presente non è assimilabile alla preistoria. Rispetto al passato remoto di un singolo uomo che disegnava su una parete per motivi che ci sfuggono ma che certo non pensava all’enormità del contesto dove agiva e nemmeno al suo eventuale alias, oggi più che sul senso di un segno, sembriamo impegnati a capire quale mediazione vi sia tra pensare tutti la stessa cosa e pensare tutti una propria cosa. Perché Internet, tra i tanti quesiti che pone, è divisa tra due derive possibili, l’omologazione e il solipsismo. Che a pensarci bene è una condizione dell’umano non aggirabile. Stesse libertà, stessi fascismi».
Di questo e di altro si parla in Lo and Behold, però non eravamo in molti a Bari vedere questo film, mentre a Roma la sala era bella piena, ma il biglietto costava due euro. Ma in realtà nessuno l’ha visto questo film nella piccola sala barese di qualità, così come nessuno l’ha visto nella affollata sala romana. Quello che abbiamo visto, penso io, è una copia senza cuore di un film di Herzog, inutilmente doppiato con voci italiane che dovevano assomigliare alle facce degli intervistati, con una scelta artistica (“una voce, un volto”) cioè, che non era quella del regista ma è quella di alcuni distributori chi si arrogano il diritto di sovrapporre la loro voce a quella dell’autore. E vorrei sapere quanti spettatori in più sono riusciti a portare in sala, grazie a questa loro trovata geniale che già quando la fa Doc3 sulla Rai fa non poco innervosire.
Mazzino è d’accordo e dice: «Mi piace quando polemizzi e quando per un volta se la prenderanno con te che non capisci quanto sia importante e oneroso portare i film in sala. Si dovrebbe fare un cartello, ti direbbero con un po’ di disappunto misto a smarrimento, nel senso di un gruppo d’interesse che la pensi allo stesso modo per sostenere una causa comune e tu invece semini dubbi... E io sarei al tuo fianco perché doppiare un film come Lo and Behold è davvero paradossale. Cioè un film sulla Rete, su quella cosa che tra le tante nostre abitudini che ha cambiato, indubbiamente ci ha riconsegnato il desiderio di vedere i film in lingua originale. E dunque il paradosso è che in sala, considerato da molti un luogo di nicchia si opera una scelta di retroguardia o meglio nazional popolare. Mentre nei luoghi sconfinati di Internet dove si ha la possibilità di acchiappare più spettatori possibili, possiamo vedere un lavoro nella sua lingua originale. Ma non spingiamoci oltre».


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