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Lo zero comico - Aldo, Giovanni e Giacomo

Pubblicato il 28 dicembre 2008 da Simone Isola


Lo zero comico - Aldo, Giovanni e Giacomo

Ci sono alcuni comici che appartengono a una generazione, legati a ricordi di serate passate davanti alla Tv, quando Internet era ancora un oscuro oggetto di connessioni malriuscite. Aldo, Giovanni e Giacomo sono esponenti illustri di questa categoria; hanno lanciato e sono stati lanciati da una trasmissione, Mai dire gol, vera fucina dei maggiori talenti comici affermatisi negli ultimi quindici anni in Italia (citiamo Marina Massironi, Paola Cortellesi, Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Daniele Luttazzi, Maurizio Crozza). In seconda serata il Trio ci divertì con le gesta di personaggi strampalati: dalle discussioni della famiglia sarda composta da Nico, Nonno, Sgragghiu (e il più volte citato muflone Peppe), ai terribili vocalizzi dei tenori Figaroa, sino alle acrobazie circensi dei Bulgari. Ricordiamo l’esilarante pianista Bracardi, interpretato da Giovanni, che dopo un intermezzo al pianoforte rovinava giù sfracellandosi dal piccolo palco; e le urla di Rolando (Aldo), quel “non ci posso credere!” entrato poi nel gergo comune; e ancora Tafazzi (Giacomo), l’omino che si sodomizzava colpendosi le parti intime con una bottiglia. E poi i mitici sketch della Tv svizzera, parodia delle ricostruzioni della trasmissione Ultimo minuto (Raitre), con i tre inquilini di un palazzo del Canton Ticino (Rezzonico, Gervasoni, Huber) sempre alle prese in maldestri salvataggi.

Sono ricordi di piacevole intrattenimento televisivo, privo di volgarità; una comicità pura, completamente slegata da qualsiasi richiamo alla realtà, rodata nella gavetta teatrale dove il trio ha assunto la forma artistica più compiuta. La loro azione è simile a quella degli artisti di strada, che catturano l’attenzione dello spettatore con mezzi semplici ed immediati, con maschere fuori dalle righe che non assumono mai il rilievo di un personaggio. Con piccole “azioni” di pochi minuti, il Trio sforna un repertorio non molto vasto ma efficace di giochi linguistici e verbali, giocando sui clichè più comuni della cultura italiana. Infatti Aldo viene deriso della sua meridionalità, così come Giacomo viene preso in giro per scarsa capacità e fragilità fisiche. Ogni elemento ha caratteristiche diverse, trovando nell’insieme una perfetta complementarietà: Aldo è molto fisico nella recitazione, tende spesso al sopratono così come alla gestualità marcata; Giovanni è un moderno pantalone milanese, presuntuoso, avaro, ma con un fondo di bontà; Giacomo è la figura più legata ai giochi verbali, al nonsense, nevrotico, ipocondriaco e con tendenze al masochismo. C’era scetticismo sul loro passaggio al grande schermo, sulla possibilità che una comicità d’altri tempi, così surreale e estrosa (quasi all’opposto di quella più “politica” dei contenitori Rai), riuscisse a tenere sulla lunga durata. Non era pensabile dilatare semplicemente i loro sketch; la stanca sarebbe giunta inesorabile dopo pochi minuti. Ma ecco che il Trio, con il fondamentale contributo di Massimo Venier, trova nel road movie il genere congeniale alle sue caratteristiche. Tre uomini e una gamba (1997) rivela una freschezza insolita, una carica di simpatica energia non disgiunta da una sottile ma benefica vena malinconica sulla vita e sulla capacità di decidere il proprio destino. Certo, la struttura del film è alquanto esile e disordinata, e non mancano tre sketch quasi slegati dal contesto narrativo; tuttavia la fortunata vis comica sposta in secondo piano i limiti propri di un prodotto ancora legato ad esperienze televisive e cabarettistiche. Ci sono già alcune costanti, come la presenza di sequenze “film nel film” o la forte passione per il citazionismo, concentrato nei primi film soprattutto sulle opere di Gabriele Salvatore (ricordiamo la partita di calcio Italia-Marocco per recuperare la scultura della gamba di legno, analoga alla partita in spiaggia di Marrakech Express). Citazionismo che diventa palese nel successivo Così è la vita (1998): i tre discutono animatamente in auto e, nell’intento di chiedere un parere a Giovanni che siede sul sedile posteriore, Aldo fa partire accidentalmente un colpo dalla pistola che tiene in pugno. E’ la ripresa di una scena di Pulp Fiction, quando Vincent Vega (John Travolta) spara a Marvin con la stessa involontarietà. In questo caso, la citazione diventa parodia comica; Aldo si dispera nel vedere il vetro della macchina imbrattato di rosso, ma è la voce dello stesso Giovanni a dirci che il colpo ha centrato il sacchetto di hamburger, facendo schizzare il ketchup.

Il grande successo di pubblico spinge il Trio a continuare nell’esperienza cinematografica; dopo il discontinuo Così è la vita alla terza prova il gruppo fa centro: Chiedimi se sono felice è una commedia che supera i residui televisivi dei film precedenti con un tocco di leggerezza e una scrittura intelligente ed efficace. Affrontando il tema del teatro amatoriale come metafora della vita, il Trio sfiora a tratti la poesia non abbandonando la comicità pura, espressa in alcune sequenze magistrali (basta ricordare l’esilarante episodio dei provini alle attrici). Dopo aver ottenuto anche il plauso della critica, il Trio decide di abbandonare la strada della commedia brillante; l’elemento citazionistico sale a protagonista in La leggenda di Al, John & Jack (2002), tentativo poco riuscito di una parodia in costume del genere gangster americano. Al di là dell’impegno produttivo e del coraggio dell’operazione, il film rivela una certe stasi creativa e la mancanza di idee fresche. L’hanno confidato geni comici come Totò e Chaplin: se è difficile far commuovere, lo è ancora di più far ridere. Scrivere e realizzare una vera commedia è arte raffinata: plasmare dei personaggi e delle situazioni interessanti, evitare tanto lo sketch isolato come la stanca descrittiva. Il principale limite di Aldo, Giovanni e Giacomo sta proprio nella scrittura; non di rado i tre riciclano vecchie battute e sketch, e in mancanza di idee si gettano nel loro istrionismo, con risultati mediocri. Dopo Chiedimi se sono felice il Trio non ritrova più quella vena brillante e sincera, realizzando una commedia degli equivoci, Tu la conosci Claudia? (2004), dove la sofisticazione sentimentale dell’intreccio inibisce in gran parte la carica comica. La stanca è così evidente che il terzetto decide di cimentarsi nel teatro filmato con Anplagghed (2006), una raccolta di brani tratti dai loro spettacoli dal vivo. L’involuzione è marcata: anche i nuovi sketch sono deboli. C’erano dunque attese di riscossa per Il cosmo sul comò, loro ultimo film a giungere nelle sale. La speranza era di ritrovare nella struttura composita (quattro episodi) le vecchie verve ed energia comica. Usiamo l’imperfetto proprio per sottolineare come queste speranze siano andate in gran parte deluse. E come negli altri casi proprio per la mancanza di idee narrative, o per il mancato sviluppo delle stesse. I vari episodi sono legati da un intermezzo inutile e noioso, nel quale il Maestro Tsu Nam (Giovanni Storti), un guru zen che ha come allievi due poveri adepti da bastonare, Pin (Aldo) e Puk (Giacomo). Oltre che rompere il ritmo del film, questi intermezzi sono privi del benché minimo appeal e non generano alcun riso. «L’idea di fare un film ad episodi - ha spiegato Giovanni - ci è venuta perché avevamo tante cose da dire. Il titolo suggerisce che, in fondo, la saggezza e la serenità tutti la cerchiamo chissà dove, quando invece sta a portata di mano, proprio sul comò, almeno per quelli che ce l’hanno in casa». Tutto molto interessante, con il piccolo inconveniente che tali idee o cose da dire vanno sviluppate in forme compiute. Cosa che avviene davvero raramente, mentre regna l’approssimazione ed il già visto. L’episodio Milano beach trasuda di verdonismo: è la storia di tre famiglie che si preparano ad andare in vacanza, ma mogli e figli non sono d’accordo con la meta stabilita dai capifamiglia; si ritrovano così a passare la villeggiatura sul prato di San Siro. C’è poi L’autobus del peccato, nel quale Aldo s’innamora di una ragazza di paese (Isabella Ragonese) che gestisce un negozio di animali. La fortuna però gli fa cadere in testa una valigia piena di soldi che Aldo si ritrova a gestire insieme a un prete (Giacomo) e a un sacrestano disonesto (Giovanni). Episodio davvero stanco, privo di idee interessanti e di una struttura narrativa degna di tal nome. Si arriva poi al surreale Falsi prigionieri, uno strampalato dialogo tra i dipinti di una pinacoteca (con Victoria Cabello); passaggio davvero trascurabile, tutto centrato sugli effetti speciali, con la desolante gag (ripetuta più volte) del pernacchione al ritratto di Napoleone. Si chiude con l’episodio Temperatura basale; il brano più riuscito, l’unico nel quale il Trio raggiunge una cifra comico-espressiva adatta alla forma cinematografica (guarda caso sempre con sviluppi malinconici). Qui Giacomo Poretti è un marito sterile che fa di tutto per avere figli, mentre i suoi amici nel corso degli anni sfornano pargoli a volontà. Per la sessualoga che lo ha in cura l’unica speranza è fare l’amore con sua moglie quando lei ha una determinata temperatura basale. Così, nel bel mezzo di una partitella tra amici, il povero Giacomo riceve un messaggio dalla moglie… E via a correre di corsa a casa, nella speranza di giungere in tempo e di non avere qualche imprevisto. Gli sforzi si rivelano vani, e la coppia arriva a chiedere il consulto ad un medico ayurveda… C’è in questo brano un tono piacevole, leggero, a sostegno di un’idea magari non originale ma simpatica ed efficace, e una pur esile struttura narrativa; ritroviamo inoltre alcuni caratteri del personaggio di Giacomo, come il masochismo, la fragilità fisica, il senso di vulnerabilità nei confronti della donna. E c’è finalmente un utilizzo proficuo del cammeo, con la strepitosa Angela Finocchiaro ad interpretare una sessuologa spietata e insofferente. Ecco, noi non conosciamo il segreto di una buona commedia, ma siamo sicuri che alcuni ingredienti non debbano mancare. E tra questi c’è la scrittura. Proprio per l’affetto che nutriamo verso il Trio, l’augurio che possiamo fargli è di ritrovare l’attenzione necessaria in questa delicatissima fase creativa, e di credere nella forza del Comico: non inteso come un traguardo da raggiungere a tutti i costi, ma come sentimento che copre vaste gamme di quella grande commedia che è la Vita.


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