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MEAN CREEK

Pubblicato il 27 novembre 2004 da Mazzino Montinari


MEAN CREEK

Di questi tempi il tema della vendetta e della sua irrinunciabilità è di estrema attualità. Se poi viene affrontato in un contesto quale è quello della società americana, allora l’interesse è destinato a crescere. Mean Creek di Jacob Aaron Estes non dirà niente di nuovo da un punto di vista cinematografico, non offrirà particolari spunti sotto il profilo delle immagini e, più in generale, della regia, ma sa essere nonostante tutto un film interessante per la scrittura e la capacità di andare in profondità. Estes ci mette di fronte a qualcosa che non vorremmo rivelare a noi stessi e che invece è costantemente presente: il senso della vendetta, la difficoltà di perdonare e accettare ciò che istintivamente è imperdonabile e inaccettabile. In altre parole, il cedere all’idea di compiere un gesto violento per risolvere un conflitto che sembra impossibile da gestire per mezzo del dialogo o, semplicemente, con una pratica non-violenta.
Il nemico, in Mean Creek, prende la forma di George, un ragazzo obeso perennemente impegnato con la sua videocamera a documentare la realtà circostante. L’intento è quello di rendere per immagini tutti i suoi pensieri che ha sulla vita e sul mondo e che non riesce in alcun modo a esprimere a parole. Anzi quando George parla e si relaziona al prossimo lo fa sempre in modo volgare e violento. Un giorno picchia Sam, un ragazzino il cui unico torto è stato quello di toccare la sua videocamera. A questo punto si innesca un meccanismo che sfocerà in tragedia. Sam, infatti, chiede al fratello maggiore di vendicarlo. E Rocky organizza insieme a due amici un piano per umiliare pesantemente George. Lo scherzo consiste nell’invitare la vittima a una gita in barca, farlo spogliare con un pretesto per poi abbandonarlo al suo destino. Le cose vanno in altro modo, anche perché durante la gita Millie, l’amica di Sam, inorridisce al pensiero di una simile vendetta. La ragazzina convince l’amico che, a sua volta, fa recedere dalle intenzioni bellicose anche il fratello. Pure Clyde torna sui suoi passi. L’unico che non accetta di buon grado di mandare a monte il piano è Marty.
Lo scherzo sembra destinato a non compiersi più. Tuttavia, George è un essere odioso che mette a dura prova anche la pazienza dei più miti. Ed è qui che Estes mette alla prova i suoi personaggi e al contempo lo spettatore: la vendetta e il perdono non riguardano una “vittima innocente”. George non è difendibile, eppure se si crede al senso profondo della non violenza non si possono fare distinzioni di sorta. Mean Creek mette a disagio, o quanto meno cerca di farlo, come accadeva in Dead Man Walking con il condannato a morte interpretato da Sean Penn che non poteva essere di conforto ad alcun ideale puro e non violento. Ogni principio etico deve sempre confrontarsi con la realtà più dura e con i pensieri più oscuri che attraversano la nostra fragile mente. E purtroppo, molte volte, a vincere è l’oscurità.

[novembre 2004]

Cast & Credits:

regia, sceneggiatura: Jacob Aaron Estes; fotografia: Sharon Meir; montaggio: Madeleine Gavin; musica: Ethan Gold, Tomandandy; scenografia: Greg McMickle; costumi: Cynthia Morrill; interpreti: Rory Culkin, Ryan Kelley, Scott Mechlowicz, Trevor Morgan, Josh Peck, Carly Schroeder; produzione: Whitewater Films/Paramount Classic; distribuzione: Tartan Film Vendita/Foreign Sales Agent The William Morris Agency; origine: Usa 2003; durata: 87’.

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