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Melancholia

Pubblicato il 18 maggio 2011 da Salvatore Salviano Miceli
VOTO:


Melancholia

Melancholia è un film sulla fine. La fine di un matrimonio appena celebrato e subito giunto alla sua conclusione. La fine delle speranze e delle verità che si scopriranno presto essere bugie. La fine non solo della vita ma anche dell’intero pianeta. Non può non definirsi apocalittico questo nuovo capitolo della prolifica filmografia di Lars Von Trier.
Non siamo lontani dalle atmosfere della precedente pellicola, Antichrist, ed anche in questo caso il film si apre con una lunga ouverture, accompagnata dalle musiche del Tristan and Isolde, che anticipa ciò che l’epilogo mostrerà poi chiaramente. Quella totale dissoluzione del pianeta cui accennavamo prima.
Le immagini hanno la consistenza feroce di dipinti espressionisti. Sono composizioni in cui l’uomo lotta con la natura e ne viene totalmente sopraffatto. La capacità evocativa è ai massimi livelli e, per quanto questo prologo rallenti non poco la narrazione, a fatica non si viene catturati da questo flusso di colori che accecano completamente lo schermo.
Due sono gli atti, esclusi incipit e finale, che compongono Melancholia. Portano entrambi i nomi delle due sorelle protagoniste, Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsburg). La prima è il naturale alter ego dell’autore, vittima consapevole di depressione e bipolarismo. A lei, non a caso simbolo della malattia e quindi di una vitalità corrotta, spetterà il compito di capire per prima il destino che si sta per compiere. La seconda rappresenta l’ordine costituito che entra in crisi alle prime avvisaglie del cambiamento, con il terrore che una forza non riconosciuta possa sconvolgere la faticosa normalità raggiunta. Sono due anime che pur sorreggendosi a vicenda, o cercando di farlo, restano distanti sino allo splendido finale in cui mostrano, ognuno secondo i tratti che le caratterizzano, tutte le loro differenze.
Il primo atto è un frenetico gioco di macchina a spalla (siamo vicini al Dogma), il secondo vira verso una normalizzazione dell’immagine che, però, aumenta nella tensione sino alla sua inevitabile deflagrazione. Come è facile supporre, trattandosi di un film di Von Trier, il simbolismo gioca un ruolo decisivo. Per tutta la durata di Melancholia piccoli elementi, apparentemente insignificanti, fanno capolinea sullo schermo come messaggio anticipatore della conclusione. L’atmosfera in alcuni momenti si fa rarefatta quasi come un noir. Il mistero di azioni e comportamenti a prima vista privi di senso viene svelato soltanto grazie ad una non sempre semplice azione di decifrazione.
La Dunst, subentrata a Penelope Cruz per cui era stato scritto il personaggio, mostra doti fino ad ora, almeno per noi, rimaste un po’ all’oscuro. Il ruolo non è affatto semplice e la sua storia personale, in cui lo stato depressivo ha forte rilievo, le ha permesso di entrare in sintonia con il regista e con il suo negativo fatalismo.
Il fascino, così come la capacità iconografica fuori dal comune, è quello perverso, e legato più alla morte che alla vita, tipico del regista di Copenaghen. Se si cercano due ore di puro intrattenimento il consiglio è di tenersi alla larga, ma se si ha voglia di compiere una esperienza assai appagante per gli occhi, Melancholia (certamente meglio di Antichrist ma distante da capolavori come Dogville) è più di una plausibile opzione.


CAST & CREDITS

(Melancholia) Regia e sceneggiatura: Lars Von Trier; fotografia: Manuel Alberto Claro; montaggio: Molly Malene Stensgaard; interpreti: Kirsten Dunst (Justine), Charlotte Gainsburg (Claire), Kiefer Sutherland (John), Stellan Skaarsgård (Jack), Charlotte Rampling (Gaby); produzione: Zentropa Entertainment, Memfis Film Internatinal AB; distribuzione: Les Films du Losange; origine: Danimarca; durata: 131’.


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