Metamorphosen - Festival dei Popoli

Russia 2013, lungo il fiume Tetcha. In seguito all’esplosione nucleare avvenuta nel 1957 e al dissennato rilascio di rifiuti radioattivi nel corso del fiume, in una zona di 20.000 Km2 dimenticata se non da Dio certo dal mondo, la radioattività ha fatto e continua a fare danni ingenti all’ambiente e all’uomo. Come raccontare il dramma di un disastro nucleare ancora in atto, mantenendo la pregnanza – iconografica e informativa – del reportage giornalistico e recuperando al contempo la dimensione umana? E come farlo, evitando di scadere in un compassionevole catalogo di freaks? Ci riesce Sebastian Mez, classe 1982, con il suo Metamorphosen.
Lente panoramiche, spesso in senso antiorario, scoprono il paesaggio desolato e ingannevolmente intatto della zona, mentre una fotografia in bianco e nero fortemente contrastata e portata ai limiti della solarizzazione tenta l’impossibile, mostrando l’invisibile: «le radiazioni non le vedi», commenta smarrito uno degli abitanti del luogo, rivelando un verità ovvia quanto spaventosa.
I racconti dei residenti abbandonati a se stessi – tra malattie e placida routine – scorrono in sottofondo senza alcuna enfasi, mentre la macchina da presa indugia sul paesaggio in lunghi piani sequenza, accompagnati dal rumore del vento che si fa assordante.
Spesso solo al termine del racconto vediamo il volto di chi ce lo ha svelato. Questo semplice espediente, con la suspense che ne deriva, è funzionale a richiamare l’attenzione dello spettatore su quelle storie, restituendo un volto alla cronaca. Insieme alle panoramiche “a ritroso”, la narrazione “anticipata” su chi la pronuncia traduce in immagini l’ostinata tenacia con cui la vita in quella zona continua, contro ogni aspettativa. L’attenzione per il gesto quotidiano (ognuno dei protagonisti è ripreso nel normale svolgimento delle sue attività); la colonna sonora essenzialmente tripartita (il vento, la voce over degli interlocutori, il suono martellante del rilevatore di radioattività che apre e chiude il film) sulla quale incombe il silenzio irreale dettato dalla neve: elementi che definiscono una narrazione discreta quanto efficace.
Poetico senza sentimentalismo, visivamente scioccante senza ricorrere a immagini a effetto, elegante senza manierismi, Metamorphosen “si fa sentire” senza gridare.
(Metamorphosen) Regia: Sebastian Mez; fotografia: Sebastian Mez; montaggio: Katharina Fiedler; produzione: Filmakademie Baden-Württemberg; distribuzione: Filmakademie Baden-Württemberg; origine: Germania; durata: 84’.
