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MI PIACE LAVORARE

Pubblicato il 6 febbraio 2004 da Mazzino Montinari


MI PIACE LAVORARE

Con Mi piace lavorare (Mobbing), Francesca Comencini ha confermato la particolare sensibilità di regista che osserva la vita dei più deboli, di coloro che subiscono l’arroganza del potere, e sono tanti, anzi, e siamo tanti. Dopo Carlo Giuliani, ragazzo, Comencini è tornata alla fiction mantenendo comunque una chiara impronta documentarista. In questo caso, la regista e sceneggiatrice ha confinato la macchina da presa in un angusto quanto anonimo posto di lavoro per “spiare” personaggi ordinari, come ad esempio Anna, interpretata da Nicoletta Braschi.
Un’esistenza, quella di Anna e dei suoi colleghi e colleghe, fatta di piccole umiliazioni e meschinità, perché il mondo del lavoro impone ritmi produttivi impossibili, gravi rinunce e soprattutto la perdita della dignità. Per mantenere il posto, un individuo è costretto ad accettare ogni sorta di angheria, finché non subentra la depressione, il calo psichico ancor prima di quello fisico. Ed è a quel punto che si giunge alla rottura definitiva. Non ci sono più garanzie, leggi e diritti a tutela del lavoratore: non si può lottare contro se stessi.
Contro Anna, segretaria di terzo livello e tutelata dalla legge in quanto costretta a crescere la figlia da sola e ad accudire un padre gravemente malato, si scagliano i nuovi padroni dell’azienda, che intraprendono contro di lei una guerra di nervi al fine di sfiancarla e umiliarla per indurla infine ad andarsene. L’isolamento è progressivo e insostenibile perché appunto colpisce la mente. E per difendersi Anna non può nemmeno contare sulla solidarietà dei suoi colleghi. Non è solo una guerra tra servi e padroni, ma anche tra servi e servi.
Mi piace lavorare è una pellicola claustrofobia che fa venire alla mente Il processo di Kafka. Anna come K ha una colpa da espiare, ma non ne conosce il motivo. E come il K de Il castello sembra destinata a morire per sfinimento. Un film che mette angoscia e che non concede niente allo spettacolo. Peccato che questo rigore stilistico e narrativo si perda in alcune sequenze, là dove si cede alla tentazione di spiegare la storia apponendo delle vere e proprie didascalie sotto forma di personaggi politicamente corretti. Un difetto che si era già manifestato in Carlo Giuliani, ragazzo. Comencini anche in questa occasione si è sentita in dovere di rimarcare retoricamente la differenza tra buoni e cattivi, quasi a rivelare un’intrinseca debolezza dei suoi personaggi. Carlo e Anna non hanno bisogno di essere santificati. Per comprendere le loro vicende non sono necessari suggerimenti, è sufficiente pensare.

[febbraio 2004]

Cast & Credits:

regia: Francesca Comencini; sceneggiatura: Francesca Comencini, con la collaborazione di Assunta Cestaro e Daniele Ranieri; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Massimo Fiocchi; musica: Gianni Coscia, Gianluigi Trovesi; interpreti: Nicoletta Braschi, Camille Dugay Comencini, Marina Buoncristiani, Roberta Celea, Stefano Colace; produzione: Donatella Botti; origine: Italia 2004; durata: 89’; distribuzione: BIM.

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