X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Milena Canonero tra due colossi del cinema americano

Pubblicato il 23 febbraio 2015 da Annalaura Imperiali


Milena Canonero tra due colossi del cinema americano

Non c’è che dire: la nomination prima e la vittoria poi della celeberrima e talentuosissima costumista italiana, Milena Canonero, alla appena trascorsa notte degli Oscar 2015 rende tutti noi estremamente fieri e soddisfatti. D’altronde l’unica candidatura che portava la firma di una nostra connazionale, per patriottismo e buon gusto, era diventata la preziosa giara ultra-chic all’interno della quale ognuno di noi aveva riposto le proprie speranze.

L’analisi dettagliata dei film a cui la Canonero ha lavorato nel corso della propria ormai lunga e significativa carriera ha messo in evidenza il profondo legame che c’è tra le scelte registiche, fatte di preferenze spesso nette e spiccate, e i meravigliosi abiti che si sono rigidamente o voluttuosamente raccolti intorno ai grandi protagonisti del cinema dal 1971 ad oggi.

La sua lunga vita all’insegna dei costumi cinematografici vanta la partecipazione, per così dire, straordinaria a diversi capolavori della settima arte. Da Arancia meccanica (A Clockwork Orange - regia di Stanley Kubrick, 1971) a Barry Lyndon (regia sempre di Stanley Kubrick, 1975). Da Fuga di mezzanotte (Midnight Express, regia di Alan Parker, 1978) al sublime pezzo forte del genere thriller-horror americano Shining (regia sempre del grande compagno di lavoro Stanley Kubrick, 1980). Da Momenti di gloria (Chariots of Fire, regia di Hugh Hudson, 1981) a Cotton Club (The Cotton Club, regia di Francis Ford Coppola, 1984). Da La mia Africa (Out of Africa, regia di Sidney Pollack, 1985) a Barfly - Moscone da bar (Barfly, regia di Barbet Schroeder, 1987). Da Dick Tracy (regia di Warren Beatty, 1990) a Il danno (Fatale, regia di Louis Malle, 1992). Da Inserzione pericolosa (Single White Female, regia di Barbet Schroeder, 1992) a Love Affair - Un grande amore (Love Affair, regia di Glenn Gordon Caron, 1994). Da Titus (regia di Julie Taymor, 1999) a L’intrigo della collana (regia di Charles Shyer, 2001). Da Le avventure acquatiche di Steve Zissou (The Life Acquatic with Steve Zissou, regia di Wes Anderson – con cui comincia la collaborazione che la porterà a trionfare sullo scintillante palco del Dolby Theatre di Los Angeles - 2004) a Marie Antoinette (regia di Sofia Coppola, 2006). Da Bella sempre (Belle toujours, regia di Manoel de Oliveira, 2006) a – finalmente un italiano! - I Viceré (regia di Roberto Faenza, 2007). Da Il treno per il Darjeeling (The Darjeeling Limited, regia di Wes Anderson, 2007) a Wolfman (The Wolfman, regia di Joe Johnston, 2010). Dal meraviglioso riadattamento cinematografico della pièce teatrale Carnage (regia di Roman Polański, 2011) a, per concludere, Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel, regia di Wes Anderson, 2014).

Ma lo studio comparato che rende grande Milena Canonero alla luce del sopracitato e pluripremiato The Grand Budapest Hotel, è la somiglianza e, nonostante questo, l’unicità del suo lavoro per Kubrick da una parte e per Anderson dall’altra. Arancia Meccanica, Barry Lyndon e Shining evidenziano la capacità della costumista e scenografa italiana di comprendere l’espressionismo cinematografico di un autore come Kubrick, la cui Life in Pictures è dettata proprio dalla predilezione del bianco ghiaccio di Latte Più e delle tute indossate dai Drughi in Arancia Meccanica, del caldo giallo delle candele nella scena della seduzione di Barry Lyndon e dal frequente uso del bianco - in taluni ambienti per accentuare il senso di vuoto e di solitudine – e del rosso – come nel caso del bagno, che dà l’impressione di un ambiente in grado di esercitare un pressante condizionamento psicologico sui suoi occupanti – in Shining. Dall’altra parte in The Grand Budapest Hotel la Canonero sfrutta il rosso denso e mordace dell’ascensore dell’albergo per accentuare la viva forza cromatica delle violacee divise dei concierges in salita e discesa libera tra i piani di questo favoloso mondo fuori del tempo.

E così, mentre la recitazione per volere dell’attualità si fa sempre più naturalistica, i costumi si fanno sempre più vividi e irrealistici per mettere in risalto la bravura di chi sa osare e inventa, dal nulla, qualcosa di estremamente e veramente nuovo.

Per non parlare, poi, dell’eleganza senza tempo del "costume" della stessa Canonero per la serata degli Oscar 2015: la semplicità e il sofisticato minimalismo del suo trench nero mettono tutto d’un colpo in secondo piano la ridondanza e la stravaganza, in certi casi al limite del kitsch, del gotha della cinematografia statunitense sul Red Carpet di Hollywood...



Enregistrer au format PDF