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MILLION DOLLAR BABY

Pubblicato il 18 febbraio 2005 da Andrea di Mario


MILLION DOLLAR BABY

Swank, Hilary. Un angelo, una cameriera, una pugilatrice, una recitazione concentratissima, a cogliere una psicologia dolorosa e fanciullesca, che deve confondersi con la grinta della combattente e con la parabola del destino. Una cosetta da fare in poco più di due ore: concentrazione di movimenti, sguardi assenti, straniamento. Zio Clint ha vinto il match col suo nuovo film proprio nel momento in cui ha deciso di ingaggiare questa ragazza. (Come non declamare ogni volta l’abilità dei giovani attori americani, davvero dediti al loro lavoro, intelligenti, immedesimati? Confrontateli con i manifesti dei nostri film e i giovani cannoli, babà e maritozzi agghindati che vi sono fotografati, anzi, nei quali si sono lasciati fotografare come bambini saputelli). Per quanto vengano raccontati eventi altamente drammatici, possibili quanto inverosimili e sociali quanto letterari, la sostanza di Million Dollar Baby è aerea, ancor prima e ancor più che melotica. Aereo è il suo protagonista, Frankie Dunn. Lo è il magnifico fool, che ronza nella sua palestra tirando pugni in aria come Pippo alle Olimpiadi. Aerea è Maggie, autentica Ofelia del ring. Solo dopo aver raggiunto questa condizione il dubbioso Frankie può compiere l’unico gesto risolutivo, cruciale, della sua esistenza. Questo ottenimento è il segreto del cinema di Eastwood per il quale vale la massima: uso infinito di mezzi finiti. Proviamo a riassumerli ancora una volta: epigrammaticità, e antiretorica sobrietà visiva; concretezza di un mondo poetico, fatto di realtà e circostanze quotidiane, di semplici episodi e teneri ricordi; secchezza narrativa, trampolino per inedite soluzioni che puntano dritto all’assoluto; costruzione per elementi che scorrono parallelamente: Griffith ha inventato un cinema, Eastwood lo sta conservando. Film di compattezza granitica (anche se è una novella rispetto al romanzesco del precedente Mystic River) un po’ come, esempio a caso, Rapina a mano armata. L’etichetta con la quale Eastwood è stato definitivamente sdoganato è quella della “classicità”. Ciò poteva andar bene per Mystic River, dove le forme sono state considerate raggiunte. Non per quest’ultimo, nel quale invece trionfa la più spiccata virtù pratica. Un senso logico, preciso, di ciò che si deve dire, un modo di procedere scena su scena simile a un costrutto poetico che si compone verso dopo verso, sui piaceri o i drammi più cocenti, stando ben attenti a non usare altra formula linguistica che quella di parlare al più alto grado di comunicatività. In questo senso l’arte di Eastwood somiglia tanto alla vena del poeta James Loughlin, che in una poesia programmatica chiama appunto queste pratiche “scorciatoie”. Anche il mondo del film, che fotografia, scenografia, costumi e musiche rendono come “graffitato”, esprime quella desuetudine necessaria a questa funzione. Funzione morale poi, perché Frankie entra nell’argomento dell’eutanasia in modo del tutto incidentale. Non lo commenta, non ne prende parte: sceglie, come sempre seguendo il “suo naso”. Per quel che riguarda i debiti che nel film si possono ritrovare, c’è da dire che essi non vengono tradotti mai in citazioni: non sono intarsi, si riconosce sempre il senso della riconoscenza. Verso le esperienze avute, con i suoi registi in primo luogo. E comunque, rispetto agli altri suoi film, Million Dollar Baby merita forse un riconoscimento maggiore, perché contribuiscono alla sua compattezza cadenze e ritmiche, riprese e accelerazioni improvvise (la serie dei match vinti per k.o.), tutte sempre aderentissime ai significati. Clint Eastwood ci ha felicemente fornito una conferma che da tanto tempo non sentivamo più risuonare: che un film è un film.

[febbraio 2004]

regia: Clint Eastwood, sceneggiatura: Paul Haggis tratto dalla raccolta di racconti Lo sfidante di F.X. Toole fotografia: Tom Stern, montaggio: Joel Cox musica: Clint Eastwood, orchestrata da Lennie Niehaus scenografia: Henry Bumstead, interpreti: Clint Eastwood, Hilary Swank, Morgan Freeman, Jay Baruchel, Mike Colter, Lucia Rijker, Brian F. O’Byrne, produzione: Malpaso, distribuzione: 01 Distribution durata: 137’ provenienza: USA, 2004.

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