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N (Io e Napoleone)

Pubblicato il 22 ottobre 2006 da Alessandro Izzi


N (Io e Napoleone)

È uno sguardo venato di saggezza senile quello dispiegato da Paolo Virzì per il suo ultimo film N (Io e Napoleone). E le vaghe assonanze keatoniane del titolo (pervenuto a questa forma definitiva forse non proprio adeguata alle nuove generazioni dopo essere passato per l’ancor meno efficace: Ucciderò il tiranno) la dicono lunga su un’opera che, dietro la logica di una commedia grottesca, nasconde le ambizioni dell’apologo storico (o, se preferite, politico) e la svagatezza pensosa del divertimento filosofico.
Al di là delle imperfezioni di una messa in scena comunque ricca e debitrice della migliore commedia italiana, quello che colpisce dell’opera è, prima di tutto, proprio la sua capacità di osservare, col lucido disincanto di chi si sente ormai al di là degli eventi e al di fuori della storia, tutto il ribollire contraddittorio delle passioni umane.
N è, da questo punto di vista, un film che risolve tutti i contrasti narrativi messi in scena (quello generazionale tra il giovane Martino e il più attempato Napoleone, ma anche quello, tutto interno nella coscienza del protagonista, tra Realtà ed Ideale) proprio attraverso l’olimpica ironia (che non coincide necessariamente con la serenità) del punto di vista adottato. La macchina da presa insegue sempre una “distanza ulteriore” rispetto alla materia narrata, non è mai alla ricerca della facile e perfetta immedesimazione con un personaggio o con una situazione, ma li trasfigura nel segno di un “tempo” e di un “luogo” ulteriori. Il tempo della risata e il luogo del pensiero. Una distanza, in fondo, ancora ricercata, ma ridotta a qualunquismo nel precedente Caterina va in città.
Da questa pozione esterna tutti i personaggi finiscono per essere messi a fuoco con una luce ad un tempo cruda e profondamente compartecipe.
C’è forte empatia, per esempio, per la capacità di infiammarsi (alla Ortis) di Papucci su questioni storiche di importanza capitale, ma, al tempo stesso, c’è anche il senso di distacco che deriva dalla chiara visione di quanto quelle stesse posizioni siano, in fondo, prive di raziocinio e di una reale comprensione dei fatti. Le azioni del personaggio sembrano, appunto, osservate con quella mesta simpatia di un vecchio che non può provare sulla sua pelle quel “forte sentire”, ma che conserva ancora ben vivido il ricordo di quando passioni analoghe pulsavano nelle sue vene.
Allo stesso modo è osservata la figura del condottiero francese. La sua capacità di sedurre le masse con un gergo tirannico simil berlusconiano (e qui sta un legame con l’attualità che non aiuta a capire il senso ultimo dell’intera pellicola), sembrano essere per Virzì altrettanto importanti di quell’egoismo gretto e di quel culto della persona che lo muovono in ogni occasione.
In questa logica disincantata, in questo continuo andirivieni tra le regole auree della commedia e quelle del dramma, non c’è più spazio per gli assoluti del “bianco” e del “nero”. Ogni cosa trascolora nel grigio del quotidiano e ogni elemento si stempera nel riflesso delle piccole abitudini. Sicché tutte le pretese del giovane protagonista di voler identificare in Napoleone la sintesi di un male assoluto urtano necessariamente con la concreta fisicità della persona, con i suoi vizi, con la sua connaturata simpatia e con la sua capacità di sedurre attraverso parole ed azioni.
Il problema cui ben presto si trova a dibattersi la coscienza di Martino nel suo voler uccidere finalmente quel tiranno che tanto sangue aveva fatto versare nei campi di battaglia di tutta Europa, finisce per risiedere proprio nell’impossibilità di sovrapporre la “sua” immagine del tiranno (quella che tanto faticosamente e amorevolmente si era costruito nella testa e nei sogni) con quella concreta che gli sta veramente davanti.
Certo nel tratteggiare il personaggio Virzì (coadiuvato da un Elio Germano in splendida forma) sta bene attento a lasciare il dubbio che i tentennamenti del ragazzo derivino anche dalla fascinazione che non si può non provare verso una persona tanto odiata, ma così incredibilmente vicina al “Potere”, ma al centro del discorso c’è prima di tutto, come accennavamo poc’anzi, la difficoltà che ognuno di noi ha provato nel tentare di tenere in vita un preciso ideale quando la realtà ci si è parata dinanzi con la sua baldanzosa evidenza.
E per giungere a questo Virzì ha bisogno di un contesto molto ben delineato entro cui calare i due agenti principali del racconto. Un contesto che viene trovato in un microcosmo umano estremamente variegato che diventa ben presto altrettanto importante degli stessi protagonisti. Attraverso una reinvenzione assai efficace dei dialetti, il regista ricompone una realtà di maschere come da tempo non se ne vedeva nel cinema italiano e assembla, alla fine, il ritratto di un popolo becero, di una massa di creduloni che potrebbe anche essere un’immagine trasfigurata dell’Italia di oggi. E il film alla fine è anche un’esortazione, magari non completamente dichiarata, ma percepibile, a non essere più parte integrante di quel gregge da cui non sfugge neanche il giovane protagonista.
Il casting è perfetto e la ricostruzione d’epoca saporita senza scivolare nel filologico. Eppure proprio nell’equilibrio complessivo tra sfondo e primo piano qualcosa va perduto. Sedotta dall’incredibile simpatia dei suoi personaggi la fantasmagoria immaginata da Virzì finisce per diventare più corale che esemplare e alcune delle intuizioni più felici finiscono per perdersi, purtroppo, per strada.

[ottobre 2006]

(Id.); Regia: Paolo Virzì; sceneggiatura: Paolo Virzì, Giacomo Scarpelli, Francesco Bruni, Furio Scarpelli; fotografia: Alessandro Pesci; montaggio: Cecilia Zanuso; musica: Paolo Buonvino, Juan Bardem; interpreti: Daniel Auteuil (Napoleone), Elio Germano (Martino Papucci), Monica Bellucci (Baronessa Emilia Speziali), Sabrina Impacciatore (Diamantina), Valerio Mastandrea (Ferrante), Francesca Inaudi (Mirella), Massimo Ceccherini, (Cosimo), Omero Antonutti (Maestro Fontanelli); produzione: Alquimia Cinema S.A., Babe Films, Cattleya, Hollywood Gang Productions; distribuzione: Medusa; origine: Italia/Francia/Spagna, 2006; durata: 112’; web info: Sito ufficiale

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