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Nemico Pubblico

Pubblicato il 6 novembre 2009 da Salvatore Salviano Miceli


Nemico Pubblico

Si potrebbero tirare in ballo considerazioni sul genere, sul rapporto tra tradizione e innovazione formale, sull’uso del digitale, sulla eventuale veridicità storica dei fatti raccontati, analizzando quest’ultima fatica firmata da Michael Mann. È difficile però averne voglia dopo avere assistito a circa due ore e trenta minuti di pura passione cinematografica, esempio magnifico di quello che il cinema dovrebbe ma non può sempre essere.
Public Enemies rende giustizia al mezzo artistico che più di ogni altro ha caratterizzato il secolo appena trascorso. Lo fa coniugandone alla perfezione i due elementi costitutivi: immagine e narrazione. Si respira il senso e l’atmosfera della fine degli anni ’20, anni di grande depressione, di banditi tanto efferati quanto gentiluomini in grado di assurgere ad icone e leggende. Si respira grazie alla pasta delle immagini, a delle tonalità che bene passano dal freddo al caldo gestendo i picchi emozionali ed accompagnando i personaggi verso un destino che, da subito, pare ineluttabile.
Johnny Depp è John Dillinger, rapinatore di banche, guascone criminale, leale e sincero con gli amici, spietato e beffardo con l’FBI (proprio per sfruttare la grande fama del protagonista, in alcuni paesi europei il film uscirà nelle sale con il titolo John D.), galante e irresistibile con le donne. Non sveliamo oltre della storia proprio per non rovinare uno spettacolo che cresce di tensione e di bellezza minuto dopo minuto. Mann, da molti considerato come uno dei cineasti viventi di maggiore talento, realizza, a nostro avviso, uno dei film migliori della sua pregiata filmografia, staccando di molti punti quel Miami Vice che, per quanto considerato da tanta critica un ottimo lavoro, a noi aveva fatto storcere un po’ il naso senza ripagare del tutto la grande attesa che ne aveva contraddistinto la lavorazione.
Public Enemies, tornando all’incipit, si fonda sulla straordinaria (impossibile dire il contrario) capacità del regista di muoversi dentro la storia e la consistenza dei generi cinematografici. La struttura, ampia e generosa, tipica del melodramma (con grande storia d’amore annessa) si incontra con la durezza e l’elegante sporcizia del gangster movie, arrivando a lambire la frenesia ritmica di un classico thriller. Mann attraversa trasversalmente tutti i generi, li confonde servendosi di tutte le loro principali peculiarità, li piega ad una narrazione affascinante ed emozionante da subito. Tutto, nel film, appare reale, mai lontano da quel principio di verità di cui il regista spesso mostra di essere fedele sostenitore. Le sequenze più crude, le sparatorie più feroci e violente, poco hanno a che vedere con una posticcia spettacolarità, piuttosto trasudano realismo, restano prive di orpelli denunciando l’immediatezza sfrontata e letale di un colpo di revolver o di fucile. Girato in un digitale ad altissima risoluzione (con l’uso di mdp specifiche per i primi piani), Public Enemies rappresenta oggi uno degli esempi migliori e più convincenti delle potenzialità digitali. Mann, che è un maestro nell’uso di questa tecnologia, con l’ausilio di Dante Spinotti (Dop.), sposa i toni opachi della Chicago del tempo, rifiuta il laccato garantendo il senso ultimo, meschino e misero, di quegli anni. Senza mai abbandonarsi ad un uso ludico del digitale, affianca la sua costruzione visiva ad una sceneggiatura densa, di accadimenti e di emozioni, rivendicando ancora una volta che un film è prima di tutto una storia scritta per essere narrata e che, proprio per questo (chissà se durante l’incontro romano erano presenti anche sceneggiatori nostrani), necessita di regole ed alchimie particolari, studiate per garantirne la trasposizione sul grande schermo.
I due mondi dipinti da Mann (da un lato Dillinger con la sua banda, dall’altro l’FBI ed i suoi metodi), pur restando estremi del tutto distanti, si cercano, si inseguono a vicenda (splendida, per quanto esasperata, la sequenza in cui è Dillinger ad entrare di sua spontanea volontà all’interno del distretto di polizia, osservando con aria divertita i segni di una inconcludente caccia all’uomo e prendendosi direttamente gioco dei suoi antagonisti), sembrano sapere già che l’epilogo non potrà che vedere trionfare uno e soccombere l’altro. Il dualismo tra Dillinger e Purvis (Christian Bale) cristallizza e porta sulla scena caratteri differenti, permettendo ancora una volta a Mann (cosa che accade in tutti i suoi film) di basare gran parte della tensione del film sul rapporto tra questi personaggi e sulla piena definizione del loro scontro, fisico e morale (si pensi a Heat con De Niro – Pacino, o Collateral con Cruise – Foxx). Se, però, nei film citati i personaggi entravano in diretto contatto tra loro, qui siamo davanti ad una partita a scacchi in cui i protagonisti, a parte brevi eccezioni, si guardano e studiano da lontano, come felini in attesa di sferrare l’attacco finale.
Tante sono le emozioni e le sensazioni condensate che Public Enemies, nonostante sfiori le tre ore di durata (anche questo tratto distintivo di Mann), resiste e si apprezza anche ad una seconda e ravvicinata visione (fidatevi; lo abbiamo provato), lasciando scorgere complessità e tratti distintivi, variabili ed incognite sfuggite in un primo momento. Ciò che resta intatto è il piacere provato nell’assistere ad un bellissimo spettacolo, un film che di diritto si pone, come detto, ai vertici della filmografia del suo autore.

Vai all’articolo sulla conferenza stampa romana di Michael Mann


CAST & CREDITS

(Public Enemies) Regia: Michael Mann; soggetto: Bryan Burrough dal libro Public Enemies: America’s Greatest Crime Wave and the Birth of the FBI, 1933-34; sceneggiatura: Ronan Bennett, Michael Mann, Ann Biderman, Bryan Burrough ; fotografia: Dante Spinotti; montaggio: Jeffrey Ford, Paul Rubell; musica: Elliot Goldenthal; scenografia: Nathan Crowley; interpreti: Johnny Depp (John Dillinger), Christian Bale (Melvin Purvis), Marion Cotillard (Billie Frechette), Billy Crudup (J. Edgar Hoover), Stephen Dorff (Homer Van Meter), Giovanni Ribisi (Alvin Carpis); produzione: Universal Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA; durata: ‘140;


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