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Non sono un assassino

Pubblicato il 4 maggio 2019 da Matteo Galli
VOTO:


Non sono un assassino

Tanto vale confessarlo subito: un film che inizia facendoci (ri)-sentire l’angelica voce di Greg Lake che canta The Great Gates of Kiew, tratto dal memorabile Pictures at an Exibition degli Emerson, Lake & Palmer, registrato dal vivo 48 anni fa a Newcastle, ci predispone immediatamente molto, molto bene. Quel disco ha per i tre protagonisti un valore identitario: si sono conosciuti da ragazzi ascoltandolo e ogni volta che si rivedono lo riascoltano, e gli spettatori con loro. I tre protagonisti sono il giudice Giovanni Mastropaolo, interpretato da Alessio Boni, il vicequestore Francesco Prencipe, interpretato da Riccardo Scamarcio e l’avvocato Giorgio Annichiarico, interpretato da Edoardo Pesce, reduce dal Nastro d’Argento per Dogman e che qui ricorda certi personaggi, diciamo così un po’ “sfigati”, interpretati da Giuseppe Battiston. I primi due hanno fatto carriera, sono ciascuno a suo modo due maschi alpha, l’altro è un perdente, carriera impantanata a causa di un amore infelice che sfocia in un patetico prima ancora che minaccioso stalking di un’impiegata di ferramenta e nell’alcolismo, patetico anch’esso perché l’avvocato beve solo Rosso Antico. Come Il testimone invisibile di Stefano Mordini, altro film recentemente interpretato da Scamarcio (che ormai viaggia al ritmo di 5/6 film all’anno e che indubbiamente è assai cresciuto sul piano delle prestazioni attoriali), anche Non sono un assassino è un thriller, più specificamente un legal thriller e si basa sul romanzo omonimo del 2014 di Francesco Caringella, scrittore sì, ma anche uomo del mestiere, che conosce bene la materia di cui sta scrivendo, avendo fatto il poliziotto e il magistrato. Dopo essersi a più riprese persi di vista nel corso dei decenni i i tre si ritrovano al centro della vicenda principale, che ovviamente non riveleremo, se non per il fatto che: il giudice, fin dall’inizio, viene ucciso, il vicequestore è l’imputato e l’avvocato, risollevato a malapena dalle sue sbornie, lo dovrà difendere. Il magistrato che coordina il processo è interpretato invece da Claudia Gerini, molto brava ma che recita con una - a tratti - troppo marcata inflessione meridionale e con una voce rauca che non sempre le dona. Il tutto si svolge in Puglia, in una Puglia quasi del tutto deprivata di scorci pittoreschi, ma invece livida e plumbea, assai ben fotografata da Fabio Zamarion, abituale collaboratore di Giuseppe Tornatore, come anche il montatore Massimo Quaglia, in un film in cui il montaggio svolge un ruolo centrale, poiché la struttura del film è volutamente complessa e – come già quella del succitato film di Mordini – alterna numerosi e diversi piani temporali che richiedono, diciamo per i primi dieci/quindici minuti del film, un’attenta collaborazione e un alto livello di inferenza da parte dello spettatore, il quale tuttavia ben presto si abitua e impara a muoversi con la medesima abilità degli sceneggiatori nei meandri del film – e gli sceneggiatori lo sanno perché eliminano del tutto le didascalie volte a segnalare l’anno di riferimento nella cronologia del film. Il plot principale funziona molto bene e i relativi flash-back che delineano la psicologia dei personaggi pure. Qualche caduta forse nelle parti più remote con i tre personaggi ancora adolescenti, talora si ha la sensazione che gli sceneggiatori facessero fatica a decidere che cosa far dire a quei ragazzi. E qualche debolezza si riscontra anche nei personaggi di contorno, soprattutto le donne: mogli, amanti, figlie e i dialoghi che le vedono coinvolte. La svolta, anzi le svolte principali del film sono tutte concentrate negli ultimi minuti quando alcune delle scene in flash-back che avevamo già visto (e che solo adesso scopriamo oggetto di una narrazione focalizzata basata sulla censura e sulla rimozione) vengono ri-narrate come si sono davvero svolte, in una specie di stretto di fuga. Il film è un apologo sul Male; di questo tratta il principale segreto che i tre personaggi condividono e che verrà svelato solo nel finale, questo, il Male, rappresenta il simbolo dello scarafaggio, ricorrente in tutto il film. La regia è di Andrea Zaccariello che girà il suo terzo film nell’arco di vent’anni, in una carriera costellata di pochi ma interessanti cortometraggi e molta pubblicità. Si tratta dunque di un film più che dignitoso, con qualche ambizione narrativa, che sia nella rivisitazione di un genere (poco praticato nel cinema italiano), sia nello stile narrativo fa capire che stiamo assistendo a un fenomeno che andrà presto indagato ovvero la ricaduta nel campo del lungometraggio pensato in primis per la fruizione cinematografica di generi e stili invece largamente predominanti nella narrazione televisiva seriale, americana ma anche, nel frattempo, italiana.
E poi si esce dalla sala e viene una voglia matta di andare in un negozio e tornare a toccare con mano la copertina di Pictures at an Exibition, dopo decenni.


CAST & CREDITS

(Non sono un assassino); Regia: Andrea Zaccariello sceneggiatura: Andrea Zaccariello, Paolo Rossi; fotografia: Fabio Zamarion; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Riccardo Scamarcio (Francesco Prencipe), Alessio Boni (Giovanni Mastropaolo), Edoardo Pesce (Giorgio Annichiarico), Claudia Gerini (Paola Maralfa); produzione: Pepito Produzioni, Viola Film, Rai Cinema origine: Italia; durata: 111’.


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