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Victoria

Pubblicato il 23 marzo 2017 da Matteo Galli
VOTO:


Victoria

Fuori dalla Germania nessuno conosce Sebastian Schipper, e semmai solo per delle particine come attore nei film del più noto Tom Tykwer. In Germania è abbastanza conosciuto. Il primo film, Absolute Giganten, risalente al 1999, gli valse il “Deutscher Filmpreis”, che sarebbe il David di Donatello tedesco, ciò che per l’appunto tuttavia non contribuì a renderlo noto al pubblico fuori dal suo paese. Il secondo film, Ein Freund von mir è uscito nel 2006, sette anni dopo e, malgrado fra gli interpreti ci fossero Jürgen Vogel, il protagonista de L’Onda, e Daniel Brühl, l’Alex di Goodbye, Lenin!, è uscito solo in Grecia. Nel 2009 gira il terzo, Mitte Ende August, una riscrittura minimalista delle Affinità elettive accolta nel “Forum”. Ed è con un bel ritardo che esce in Italia il suo quarto film, intitolato Victoria. I tre precedenti film erano piccoli film: Absolute Giganten addirittura solo 72 minuti! Con Victoria il buon Schipper è andato al raddoppio perché il film di minuti ne conta 140, centoquaranta faticosissimi minuti perché il film racconta in tempo reale, due ore e mezzo di una notte berlinese che trascolora nell’alba. Nella prima ora una ragazza spagnola, la Victoria di cui al titolo, incontra quattro ragazzotti balordi (ne ritroveremo di simili nell’altro film tedesco in concorso, quello di Andreas Dresen) in un club techno e si lascia trascinare via da loro in giro per le strade, sulla terrazza in cima al tetto dove sono soliti riunirsi a sbevazzare e a fumare. L’incontro occasionale sembra concludersi senza particolari conseguenze di nessun genere, anche se lo spettatore avverte costantemente una certa qual violenza latente. Dopodiché il film vira: dapprima sembrerebbe virare verso una storia d’amore fra Victoria e uno dei ragazzi (si chiama “Sonne”, sole, l’unico che sa un po’ di inglese e che è in grado di comunicare con lei), con brevi squarci sul passato della ragazza, pianista fallita del conservatorio di Madrid, approdata a Berlino a fare la barista, un po’ senza arte né parte; dopodiché – in modo definitivo – il film prende una piega decisamente inattesa, e sul piano della sceneggiatura, diciamolo pure, neanche tanto plausibile: da notturno berlinese si trasforma all’improvviso in un action movie. Uno dei ragazzi, per sdebitarsi di un favore ricevuto durante un periodo trascorso in galera deve fare un colpo in banca e gli altri, Victoria compresa, non possono esimersi da far parte della gang. Con finale tragico. Seppur in via potenziale interessante sul piano psicologico, con la ragazza che ingenuamente, candidamente si ritrova in una storia più grande di lei, il film mostra appunto problemi di concisione drammaturgica (qua e là si ha anche la sensazione che gli attori improvvisino, male, verrebbe da aggiungere), soprattutto la prima parte si trascina molto stancamente. A ciò si aggiunga la scelta stilistica di lavorare solo con camera a mano e solo con un unico piano sequenza nel buio o nella semioscurità della notte berlinese. Ora: o si è Hitchcock o anche magari Sokurov, oppure l’utilizzo di un unico piano sequenza deve appoggiarsi su una drammaturgia o, diciamo così, su uno spessore filosofico un po’ più solido. Che non è esattamente il caso del film di Sebastian Schipper.


CAST & CREDITS

(Victoria); Regia: Sebastian Schipper; sceneggiatura: Sebastian Schipper, Olivia-Neergard-Holm, Eike Schulz: fotografia: Sturla Brandth Grøvlen; interpreti: Laia Costa (Victoria); Frederick Lau (Sonne), Franz Rogowski (Boxer), Burak Yigit (Blinker), Max Mauff (Fuß); produzione: MonkeyBoy-DeutschFilm-Radical Media; origine: Germania, 2015; durata: 140’.


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