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Matrix venti anni dopo

Pubblicato il 19 marzo 2019 da Emanuele Conti


Matrix venti anni dopo

Tra i film usciti al cinema nell’ultimo anno del vecchio millennio c’è un’opera di fantascienza nata dalla mente visionaria e dalla passione cinefila - ma non solo - di due fratelli, arrivati a Hollywood dalla città di Chicago. Sono Larry e Andy (oggi Lana e Lilly) Wachowski, che con il loro secondo lungometraggio, Matrix, impongono pesantemente la propria posizione nell’industria cinematografica americana.
Il film ha goduto di un budget di 63 milioni di dollari e ne ha incassati almeno 400 in più. Ha vinto quattro premi Oscar tecnici tra cui “Miglior montaggio” e “Migliori effetti speciali” concorrendo contro film come American Beauty, Insider e Il sesto senso nella prima categoria e Star Wars - Episodio I nella seconda.
Da un certo punto di vista Matrix presenta una trama abbastanza lineare: un hacker, Neo (Keanu Reeves), viene scoperto e arrestato da quelli che sembrano agenti federali intenzionati ad usarlo per arrivare ad un altro hacker, Morpheus (Laurence Fishburne), ma lui si rifiuta. A questo punto il film prende una piega abbastanza imprevista: Neo, guidato da Morpheus, scopre che l’umanità è imprigionata in un mondo fittizio, digitale, di cui quasi nessuno è a conoscenza, e la realtà è dominata da macchine che hanno ridotto il genere umano alla condizione di fonte energetica da sfruttare. L’unico modo per liberare l’umanità è che l’eletto si riveli e combatta le macchine dall’interno del loro sistema di controllo/prigione, Matrix.

Al di là di tutto il kung fu e le sparatorie con cui l’opera è riccamente condita, Matrix presenta alcuni aspetti molto più profondi e che hanno colpito direttamente il pubblico, anche quello meno colto o più disinteressato a certe tematiche. Al quarantesimo minuto circa i personaggi di Neo e Morpheus vengono portati in un programma di addestramento, una sorta di emulatore di Matrix, dove il personaggio interpretato da Fishburne sbatte direttamente in faccia al pubblico la questione principale dell’intero film: chiede a Neo “Cos’è reale? Dammi una definizione di reale.”
Ed ecco arrivare i due punti fondamentali della sequenza, e forse dell’intero film: 1) la realtà è definita tramite i nostri organi sensoriali che inviano degli impulsi elettrici elaborati dal cervello; 2) di conseguenza la vera natura dell’Essere è inconscibile. Sono due concetti importanti, alla base uno della nostra capacità di conoscere l’altro dell’intera storia del pensiero occidentale.
Sono due fulcri importanti soprattutto alla luce dei successivi capitoli della trilogia, dove si sottolinea ancora di più l’importanza della figura di Neo, l’eletto, in funzione cristologica. Infatti la questione più puramente biologica e quella più puramente filosofica altro non sono che le due componenti inscindibili dell’Uomo, corpo e anima, e non può esistere l’una senza l’altra, tanto che se si muore in Matrix si muore anche nel mondo reale.
Per la prima volta con Matrix, in modo diretto e crudo, il cinema mainstream americano affronta una questione insormontabile del pensiero, cioè che in fondo la vera natura del reale è inaccessibile e che potremmo essere intrappolati in una simulazione artificiale senza neanche accorgercene. Una simulazione digitale controllata da un’intelligenza artificiale, una mente malavagia, onnipresente e impalpabile, molto simile alla Skynet di Terminator creato da James Cameron circa vent’anni prima. Anche in quell’universo cinematografico, ciò che resta dell’umanità conduce una guerra totale contro le macchine dominanti, ma in Matrix (una sorta di Skynet 2.0) le macchine si sono facilitate la lotta, anzi di fatto hanno già vinto asservendoci ai loro bisogni, dandoci però l’illusione di aver ancora tutto sotto controllo.

La fascinazione del cinema dell’inizio di questo millennio verso le intelligenze artificiali (e la realtà virtuale) ha coinvolto autori più e meno prestigiosi e ha portato sugli schermi film qualitativamente diversi che hanno cercato di soppesare i vari aspetti di queste nuove tecnologie, e di come esse influiscano sulle nostre vite. Probabilmente il più interessante è un film indipendente dal titolo Lei, incentrato sul rapporto interpersonale tra un uomo e una i.a. presente nei suoi dispositivi personali. Tema tutto sommato poco fantascientifico e anzi molto attuale, nella misura in cui oggi ognuno di noi vive con il proprio computer da tasca (lo smartphone) sempre con sé, e gli assistenti personali integrati nei sistemi operativi sono sempre più elaborati, tanto da comprendere anche il sarcasmo o fare delle battute. Essi inoltre imparano dalle esperienze (i modi d’uso e le abitudini dell’utente) e si calibrano sempre più a misura del loro utilizzatore. C’è una simulazione di intelletto sempre più raffinata, che rasenta la simulazione di personalità. E a causa di questo ci creiamo un’illusione, l’illusione di interagire con un assistente senziente che possa darci dei consigli in base ai nostri gusti. Questa illusione, oggi, ci sta sfuggendo di mano.
Potremmo dire che siamo passati dalla cultura delle immagini alla cultura dell’illusione. Viviamo nell’era d’oro dei social network che analogamente a Matrix restituiscono una “immagine residua di sé”, ovvero come vogliamo apparire nella rete, che oggi è diventata totalizzante e onnipresente.
Questo è tanto vero che un dispositivo come i Google Glass utilizza una tecnologia a riconoscimento facciale che ricerca automaticamente dati della persona inquadrata e ne stila un profilo principalmente in base alle sue attività su internet. Il presupposto quindi è che coloro che usano la rete sono portati ad una scontata e sconcertante sincerità, mostrando spontaneamente sé stessi. Questo accadeva sicuramente (ma non totalmente) nel periodo dell’iniziale diffusione di internet tra i privati, analogalmente a quanto era avvenuto alle origini della radio o della televisione, e anche del cinema. Ogni nuovo medium quindi ha bisogno di credibilità per poter affermarsi inizialmente, ma prima o poi questa credibilità viene smontata o schernita: il famoso caso del radio dramma di Orson Welles tratto da La guerra dei mondi; nel cinema invece all’indomani, quasi letteralmente, dei piccoli prodotti dei cineoperatori Lumière arriva George Méliès, e il resto è storia; in tv potremmo citare il caso tutto italiano di “Indietro tutta”, format televisivo modellato sul quiz show ma senza un vero concorso, fondamentalmente surreale e tanto affascinante da colpire l’immaginazione collettiva seducendo e coinvolgendo lo spettatore a casa; internet, con i social network, dà la possibilità a chiunque di reinventarsi del tutto o in parte creando una propria storia personale, ma di più, internet è quello spazio che ha visto nascere e prosperare le fake news in un contesto in cui la sua diffusione capillare e l’eccessiva facilità di accesso alle informazioni rende quasi impossibile discernere il vero dal falso. Oggi quindi abbiamo accesso solo a porzioni di verità, o meglio a delle sue versioni, e una versione di verità è non verità (come afferma Sonmi in “Cloud Atlas”, altro film firmato Wachowski).

Rivedendo Matrix, film che tra le altre cose aveva fortemente influenzato la moda e il costume dei primi anni Duemila, oggi ci si trova ancora davanti ad un’opera piena di sostanza, ritmo e tensione narrativa, con una struttura solida, e che mantiene vivo l’interesse dello spettatore di minuto in minuto. Ma impone anche un’acuta riflessione, un esame di coscienza, sul mondo contemporaneo e come questo giri sempre più aggrovigliato ad internet - uno strumento che negli anni ha rivelato e continua a svelare infinite possibilità di conoscenza ma anche luoghi pericolosi ed oscuri - ai suoi network, e alle incredibili potenzialità dei dispositivi con cui siamo continuamente a contatto, anche i più piccoli, che spesso sono i più performanti. Ci si ritrova ancora inevitabilmente a riflettere sul messaggio che contiene e a ripensare lo stato della nostra società, che evidentemente ha abbracciato la scelta di Cypher (interpretato da Joe Pantoliano), il personaggio che cede al compromesso con l’agente Smith (Hugo Weaving), massimo rappresentante di Matrix, e che sceglie di tradire i propri compagni per rientrare nel sistema, per vivere una nuova vita: inventandosi una nuova storia sul proprio vissuto, accecato dall’illusione che egli stesso brama e pronto a cancellare il proprio passato per poter dimenticare la verità, e vivere serenamente una magnifica illusione.


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