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Addio a Max von Sydow

Pubblicato il 15 marzo 2020 da Monia Manzo


Addio a Max von Sydow

La sua sfida con la morte è terminata infine dopo una vita longeva che aveva superato i novanta anni in cui aveva interpretato circa 150 opere tra cinema e tv. Ci ha lasciato, infatti, lo scorso 8 marzo a Parigi, il grande attore cinematografico e teatrale svedese Max von Sydow. Oltre al capolavoro Il settimo sigillo (1957) - che ha segnato la storia del cinema internazionale - girerà poi con Ingmar Bergman altri 10 film ma sarà anche ricordato da molti in tante altre vesti interpretative differenti: per esempio nel ruolo di padre Lankester Merrin ne L’esorcista (1973) di William Friedkin; è stato Cristo ne La più grande storia mai raccontata (1965) di George Stevens, oppure i più cinefili citeranno la parte che gli fece guadagnare una nomination all’Oscar per Pelle alla conquista del mondo (1989) di Bille August. Ma il suo lasciapassare per l’Empireo cinematografico restano le numerose, superlative interpretazioni sotto la direzione del grande regista svedese Ingmar Bergman. Tra tutte, come già accennato, Il settimo sigillo, fu quella che lo fece diventare celebre, grazie al talento e alla perfetta qualità dell’ interpretazione, supportata da un aspetto alto, magro, imponente.
La vicenda dai tratti gotici, indubbiamente affascina e colpisce ancora oggi: un cavaliere di ritorno dalle crociate nel suo paese colpito dalla peste, scopre di aver perso la fiducia in Dio e di non essere più in grado di pregare.
All’improvviso, si trova di fronte alla personificazione della morte. Avendo bisogno di più tempo sulla terra per portare a termine la sua impresa, la sfida a una partita a scacchi.
L’interpretazione di Von Sydow di un uomo in pieno tumulto spirituale dimostra in modo magistrale quanto l’attore sia stato in grado di fare suo un personaggio che presupponeva una maturità oltre i suoi anni; e Von Sydow ha confermato la sua bravura e la sua personalità, solenne e dignitosa, anche in altri film di Bergman, facendosi notare anche in quelli meno celebri al grande pubblico.

Sebbene Il settimo sigillo fosse il primo film con il maestro svedese, i due avevano già lavorato insieme al Teatro municipale di Malmö in diverse opere teatrali e avrebbero continuato a farlo tra un film e l’altro. Infatti, Bergman lavorava al cinema in estate con gli stessi attori con cui preparava gli spettacoli teatrali in inverno. Dal 1956 al 1958, per Bergman, Von Sydow ha interpretato Brick in Un gatto su un tetto che scotta, Peer in Peer Gynt, Alceste in Il misantropo e Faust in Urfaust. Nella stessa compagnia c’erano Gunnar Björnstrand, Ingrid Thulin, Bibi Andersson e Gunnel Lindblom, che, con Von Sydow, sarebbero entrati a far parte della compagnia di repertorio di Bergman sul grande schermo.

Era nato Carl Adolf Von Sydow - in seguito decise di cambiare il suo vero nome con Max - da una famiglia accademica a Lund, nel sud della Svezia nel 1929. Suo padre, Carl Wilhelm, era un etnologo e professore all’università di Lund; sua madre, Maria Margareta Rappe, un’insegnante di scuola.
Frequentò una scuola cattolica prima di svolgere il servizio militare, mentre dal 1948 al 1951, Von Sydow si iscrisse alla scuola di recitazione di Arte Drammatica di Stoccolma; durante gli studi partecipò con piccole parti in due film diretti da Alf Sjöberg, Only a mother (1949) e Miss Julie (1951). Dopo la laurea, Von Sydow, che aveva sposato Christina Olin nel 1951, divenne membro del teatro municipale di Helsingborg prima di trasferirsi a Malmö, dove avvenne l’incontro decisivo con Ingmar Bergman.

Dopo Il settimo sigillo Von Sydow partecipò ad una serie di film in cui interpretava ruoli secondari di cui andava comunque fiero e che sono stati considerati da molti un esempio perfetto della scuola attoriale svedese: un piccolo ruolo ne Il posto delle fragole (1957), un altro piuttosto marginale in Alle soglie della vita (1957) come marito di Eva Dahlbeck, in cui aspettava con dedizione che sua moglie avesse un bambino (che perde); poi ne ricoprì uno centrale ne Il volto (1958). Qui nella figura di Albert Emanuel Vogler, ipnotizzatore e mago del XIX secolo, incarna egregiamente un personaggio tra il ciarlatano e il Messia.

Si ritrovò di nuovo nella Svezia medievale ne La fontana della vergine (1960), come il vendicativo padre di una ragazza che è stata violentata e assassinata. Von Sydow rifiutò inizialmente le offerte di lavoro al di fuori della Svezia, persino il ruolo del protagonista nel primo film di James Bond, Dr. No (1962) di Terence Young, anche se due decenni dopo interpreterà il genio malvagio Blofeld in Mai dire mai (1983) di Irvin Kershner. Ma poi cedette quando George Stevens lo pregò di diventare Gesù nella sua già citata epica di 225 minuti La più grande storia mai raccontata.

Altri due film hollywoodiani di quell’epoca non furono di un livello molto superiore: ne La taglia (1965) di Serge Bourguignon era un pilota impoverito, impolverato, intrappolato nel deserto messicano, mentre in Hawaii (1966) di George Roy Hill è un missionario inflessibile e arrogante che non fa alcuno sforzo per capire gli isolani. I suoi due veri figli qui interpretano i ruoli del figlio del protagonista, rispettivamente all’età di sette anni (Henrik) e di dodici (Claes).
Con l’aristocratico intrigante di Quiller Memorandum (1966) diretto dall’inglese Michael Anderson inizia una lunga serie di ruoli di cattivi tedeschi in cui Von Sydov ha eccelso.

Nel complesso, i suoi film tendevano a oscillare tra il serio e il faceto. Tra i primi c’erano Il lupo della steppa (1974) di Fred Haines, in cui era l’alter ego di Hermann Hesse, Harry Haller, un uomo disilluso che intraprendeva un viaggio spirituale; in Duet for one (1986) di Andrey Konchalovskiy si incarnava in uno psicoanalista insensibile e temuto dalla morte; in Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen era diventato un pungente artista antisociale. Allen ha affermato che gli unici due attori con i quali ha diretto in soggezione, sono stati Von Sydow e Geraldine Page.

Tra le interpretazioni un po’ comiche, invece, in ruoli sopra le righe, annoveriamo il suo Imperatore Ming in Flash Gordon (1980) di Mike Hodges e il re Osric in Conan il barbaro (1982) di John Milius in cui tuttavia era riuscito a mantenere un’espressione solenne - e sembrava che nei film non ci fosse un volto più fiero di quello di Von Sydow.

Molto più a suo agio lo ritroviamo in Pelle alla conquista del mondo, premio Oscar come miglior film straniero.
Von Sydow catturò elegantemente la semplice grandezza di un contadino vedovo analfabeta che lascia una Svezia colpita dalla povertà per un’isola danese con suo figlio di nove anni, trovandosi quasi ad essere in una condizione di schiavitù in una fattoria.
Von Sydow si ricongiunse poi all’amato Bergman, interpretando il nonno materno di quest’ultimo in Con le migliori intenzioni (1992), diretto da Bille August, un film il cui soggetto era tratto dall’autobiografia del celeberrimo regista svedese.
Viceversa, il suo ritratto del romanziere norvegese Knut Hamsun nel film biografico Hamsun (1996), diretto da Jan Troell, era decisamente troppo esplicito per un uomo che cercava di razionalizzare la sua ammirazione per Hitler.

«Perché io?» era stata la reazione dell’attore di Lund a Jonathan Miller, dopo essere stato scelto come Prospero ne La tempesta all’Old Vic di Londra - una scelta molto azzeccata perché Von Sydow ha portato l’aura del cinema di Bergman in quel ruolo, oltre che autorità e calore.
Nel 1988 è passato dietro la macchina da presa con Katinka storia romantica di un amore impossibile, una semplice storia di una donna soffocata da un matrimonio senza amore, che ha avuto scarsa risonanza. Von Sydow era felice di avercela fatta, ma ha anche dichiarato che non avrebbe mai più fatto il regista. Nel terzo millennio ha continuato ad alternare performance tra cinema mainstream hollywoodiano (era in Minority report di Steven Spielberg, 2002), a opere più impegnative come Lo scafandro e la farfalla (2007) di di Julian Schnabel.
E’ stato poi un sinistro medico tedesco nel thriller psicologico Shutter Island (2010) di Martin Scorsese; quindi ha recitato in Molto forte, incredibilmente vicino (2012) di Stephen Daldry, per il quale ha ricevuto la sua seconda nomination all’Oscar come attore non protagonista; ancora ricordiamo il ruolo di Lor San Tekka in Star Wars: Il risveglio della forza (2015) di J.J. Abrams e quello di Corvo a tre occhi nella sesta stagione di Game of thrones (2016).
Il suo ultimo ruolo cinematografico lo vide partecipe in Kursk (2018) di Thomas Vinterberg.

Sydow e sua moglie Olin hanno divorziato nel 1979; nel 1997 ha sposato la cineasta e documentarista francese Catherine Brelet: stabilitisi a Parigi Von Sydow è diventato cittadino francese nel 2002.
È incredibilmente sopravvissuto alla Brelet e ai loro figli, Cédric e Yvan, e a Henrik e Claes, i figli del suo primo matrimonio, come se quella partita con la morte l’avesse vinta, miseramente, in questa nostra vita.


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