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The Wind rises

Pubblicato il 2 settembre 2013 da Giampiero Francesca

VOTO:

The Wind rises

Per ogni artista, per ogni creativo, per ogni inventore, sostiene Hayao Miyazaki nel suo Kaze Tachinu, esiste un decennio magico, il momento perfetto per realizzare i propri sogni, le proprie idee. Il suo, di momento, é durato ben più di un decennio, da quando, giovane autore, fra il 1971 e il 1972, disegnava le giacche rosse di Lupin III. Quarant’anni di storie magiche, di personaggi sognatori e delicati, di idealismo, pacifismo e ecologismo. Una carriera che sembra chiudersi proprio con The wind rises, commiato artistico di un maestro del cinema contemporaneo.

Troppo diverso dal suo cinema, Kaze Tachinu. Troppo ricco di indizi, di piccoli o grandi segnali, per non capirne, sin dalle prime inquadrature, il senso profondo. L’ultimo progetto che prende forma, il prototipo dell’ingegnere Gianni Caproni che spicca il volo, il racconto di una vita, di una storia, quella del Giappone, che si colora delle tinte accese dell’animazione. La terra della fantasia, quella della magia che rende possibile l’impossibile, sembra ormai lontana, come superata, di colpo, da un’età adulta, costretta a far i conti con la realtà. Così, il sogno di Jirô si compone di lamiera e bulloni, modellato da una materia ben più concreta di tutte le meravigliose fantasie create fin ora da Miyazaki. Pur se costellato di intermezzi onirici, The Wind rises, è, per la prima volta, un film completamente reale, che affronta i piedi nella storia e nelle storie di una nazione, che si confronta con la guerra (quella più tragicamente vera) e con la morte. Ma, come recita il brano di Paul Valéry che da il titolo alla pellicola, "Il vento di leva, bisogna provare a vivere!". Così Jirô/Miyazaki sogna. Sogna sin da bambino, sogna di costruire aeroplani (come lo stesso autore giapponese, che da sempre disegna i modellini delle sue macchine volanti), nonostante le difficoltà, sogna. Non é il terremoto, che sconquassa Tokyo nel 1923 a fermarlo, non é la crisi, che nel 1929, mette in ginocchio l’industria giapponese, non é la guerra, quella vera, a distruggere la sua immaginazione, trasformando le sue creature in macchine di morte. Mai prima d’ora però la realtà era entrata con passo tanto imponente nell’opera di Miyazaki. I suoi temi più cari, dall’ecologismo al pacifismo, sembrano piegarsi davanti alla forza della Storia. Quell’anima incantata, che pervadeva ogni immagine del suo cinema, sembra come svanita, in quest’ultimo, lungo e toccante racconto. Non é un caso che anche la morte, elemento quasi assente dalla sua poetica, irrompa ora, in Kaze Tachinu. Come in un atto di completa maturità Miyazaki la affronta peró con serena rassegnazione, nella sua normale quanto triste naturalezza. Nella terra dei sogni e delle idee, quella dove il vento continua ad alzarsi, non c’è spazio per la morte e per le guerre, e nonostante tutto Jirô e il suo creatore questo lo sanno.

Un ultimo elemento non poteva infine non far pensare, prima ancora del suo annuncio ufficiale, a quale fosse il reale significato di The Wind rises. La voce originale di Jirô, alter ego dello stesso Miyazaki, é infatti affidata ad Hideaki Anno, suo grande discepolo. I due si ritrovano così, dopo un lungo periodo di lontananza, a lavorare ad uno stesso progetto, legati da un filo rosso che unisce l’arte del maestro a quella di un alunno ormai erede. Nel dar voce a Jirô, Anno, saluta il suo iniziatore ma al tempo stesso ricorda a tutti che la brezza si sta alzando di nuovo e che il mondo magico di Miyazaki non finirà in questa valle del vento.


CAST & CREDITS

( Laze Tachinu ); Regia e sceneggiatura: Hayao Miyazaki ; musiche: Joe Hisaishi; origine: Giappone, 2013; durata: 126’


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