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Old boy

Pubblicato il 22 luglio 2004 da Alessandro Borri


Old boy

“Frattaglie”. Così una nota critica cinematografica scriveva papale papale su un noto settimanale di informazione di moderate tendenze sinistrorse a proposito di Old Boy, in un articolo non troppo lusinghiero sul programma di Cannes 2004. Roba orientale alla moda di vendette a martellate e sangue che schizza, in sostanza. Vale a dire: cose che piacciono a Tarantino e a cinefili oltranzisti, altro che il cinema “vero”, ad alzare il vessillo del quale sulla Croisette non rimanevano che Almódovar, Kusturica e pochi altri. Ora, tanto per non fare i polemici, se non si sa riconoscere la qualità assolutamente originale dello sguardo di Park Chan-wook, la sua forza tellurica incastrata in griglie strutturali implacabili, non si può capire lo stato delle cose dell’autorialità contemporanea, totalmente sbilanciato a Est, ormai da anni, con un’esplosività creativa che ben bilancia le crisi di anemia del cinema d’occidente. Comunque, Park prosegue nell’approccio anatomico alle forme della vendetta già sperimentato nel capolavoro Simpathy for Mr. Vengeance, ma aggiusta significativamente il tiro. Alla spietata analisi delle derive sociopatiche del liberismo selvaggio (di cui l’asse sino-coreano è un punto di osservazione sicuramente privilegiato) si sostituisce qui un’architettura edificata su basi di senso dell’assurdo che rimandano da un lato a Kafka (e The Prisoner, e The Game), dall’altra alle catene della colpa di stampo noir e a logiche langhiane di geometria ferrea. Tutto in Old Boy obbedisce a regole maligne di specularità e reversibilità. La lotta a ritmo di valzer tra il mabusiano genio del male e il suo inconsapevole strumento, artefice eterodiretto di morte e distruzione, dice sulla solitudine inguaribile dell’uomo oggi, e sul suo anelito alla dimenticanza, più di interi trattati, grazie alla maestria con cui Park bilancia potenza tragica, magnifiche svisate surreali, irresistibili accordi di humour nero e aperture melodrammatiche quasi powelliane (vedere il finale ambientato sui monti neozelandesi). Resta da dire sulla vexata quaestio della violenza, che tanto ancora inquieta le anime belle (che poi magari accettano quella sì volgare e incontrollata di The Passion): violenza risolta in forme di lirismo allucinato e dolente anche qui del tutto uniche, si tratti di estrazioni di denti al suono di Vivaldi o di massacri dilatati in imperturbabili piano sequenza.

[luglio 2004]


CAST & CREDITS

Regia: Park Chan-wook; sceneggiatura: Park Chan-wook, Hwang Jo-yun, Lim Chun-hyeong; fotografia: Jeong Jeong-hun; montaggio: Kim Sang-beom; musica: Jo Yeong-wook; interpreti: Choi Min-sik, Yu Ji-tae, Kang, Hye-jeong; produzione: Show East; origine: Corea del Sud 2004; durata: 120’; distribuzione: Lucky Red


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