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Operazione U.N.C.L.E.

Pubblicato il 10 settembre 2015 da Stefano Colagiovanni


Operazione U.N.C.L.E.

“Operazione nostalgia”. Da un pò di tempo già qualcuno si era chiesto che fine avesse fatto Guy Ritchie. Di lui se ne erano perse le tracce quattro anni fa, dopo quello Sherlock Holmes – Gioco di ombre, secondo capitolo della saga dell’ispettore più famoso della storia riletto in chiave action, brillante e sarcastico a suo modo. E poi? Quattro anni di nulla, un lasso di tempo che potrebbe spingere chiunque a credere a una sorta di crisi d’autore, in cui le idee scarseggiano e si aspetta con ansia l’illuminazione rivelatrice. E invece no, perchè al regista britannico le idee brillanti non sono mai mancate, anche se pare essere stato costretto a un viaggetto indietro nel tempo, quando il mondo occidentale viveva (politicamente parlando) sul filo affilato di un rasoio.

La scelta di rispolverare una vecchia serie televisiva (parliamo dell’anno 1964) quale The man from U.N.C.L.E. (Organizzazione U.N.C.L.E. o L’uomo dell’U.N.C.L.E. per i non anglofoni) ha sortito i suoi effetti positivi in una maniera così inaspettata, da spazzare via praticamente ogni scetticismo. Siamo nel 1963, in piena guerra fredda, il clima politico è insostenibile, sono tutti contro tutti e a sgominare la malvagia organizzazione criminale armata fino ai denti di testate nucleari c’è Napoleon Solo (a cui presta il volto da Clark Kent un Henry Cavill in forma smagliante), abilissimo ex ladro professionista, catturato e successivamente arruolato dalla C.I.A. come agente sul campo. E siccome questa volta la missione richiede sforzi magiori di una semplice scampagnata in territorio tedesco, il caso (e la politica) vuole che a far squadra con l’intrepido Solo ci siano un agente super addestrato del K.G.B. di nome Illya Kuryakin (un pregevole Armie Hammer) e una giovane tedesca riparatrice di veicoli dal passato e dall’identità misteriosa, Gabrielle ‘Gaby’ Teller (una sensualissima Alicia Vikander). Il mood imposto da Guy Ritchie, nonchè imbastito in anticipo dal profilo dell’originale serie televisiva, regala allo spettatore un tris di agenti etereogeno ma, al contempo, ben assortito: una scelta che facilità non poco le innumerevoli digressioni comiche di una squadra composta da giocatori che non amano giocare in squadra e volenti o nolenti dovranno imparare a condividere il lavoro e collaborare con partecipazione, affinchè la missione possa essere portata a termine con successo. Un’idea di base che strappa più di qualche sorriso ma che sfrutta la satira pungente originaria delle british-comedy per puntare il dito in modo accusatorio contro il regime di terrore sospeso, in voga negli anni successivi al termine del secondo conflitto mondiale, tra U.S.A., Regno Unito e U.R.R.S., mai veramente venuto a cadere, ma solo mascherato a distanza di mezzo secolo da ipocrisie e buonismo di facciata (e qui svetta il fine utlimo del cinema come strumento ludico-educativo).

Storicamente incisivo, questo Operazione U.N.C.L.E. colpisce e stupisce più per un perfetto connubio di azione e raffinata comicità che per il background sul quale poggia le sue fondamenta narrative e Guy Ritchie sembra divenuto un eccelso prosecutore di questo filone mainstream ma mai banale o stantio. L’aspetto più pregevole e artisticamente efficace risiede nella bravura e nella voluta ricerca di Ritchie di marcare senza respiro il tono vintage ripreso a regola d’arte dalla vecchia serie del 1964, utilizzando ogni mezzo a sua disposizione, dai costumi (vanto secolare della moda nostrana), alle vie e all’eterna bellezza di Roma, impacchettati con una colonna sonora travolgente e magnetica (magari, considerata l’ambientazione romana, non avrebbe certo snaturato il tono dell’opera qualche arrangiamento di classici della canzone italiana). Tutti elementi disposti a corredo di un intreccio costruito minuziosamente, un lavoro che per Ritchie non pare più costituire un impegno faticoso, piuttosto si presenta come elemento ricorrente nei suoi ultimi lavori da regista (il sucitato Sherlock Holmes ne è un chiaro esempio) e pare divertircisi non poco: grazie all’utilizzo in un paio di sequenze chiave di un montaggio a dissolvenze concatenate che ammicca a uno stile fumettistico e alla sapiente costruzione di sequenze alternate (quella dell’inseguimento finale costruita con campi lunghi in movimento con riprese a piombo è un chiaro esempio di cinema action di altà qualità a presa autoriale), Operazione U.N.C.L.E. affascina e tiene incollati allo schermo, senza mai perdere di vista l’obiettivo di parodiare i punti fermi del genere spionistico, da quello più classico alla James Bond, fino a quello più adrenalico, come si usa apllicare in saghe quali Mission: Impossibile. Duttilità narrativa, piglio autoriale e una cura ammirabile dei dettagli, delle scenografie esaltanti, eleganti e sobrie al contempo, che non snaturano o appesantiscono lo sviluppo della narrazione, nè l’evoluzione-crescita dei personaggi. Visti i presupposti di un finale delicato e teso come una corda di violino, tutto lascia presagire che gli agenti della U.N.C.L.E. uniranno presto le loro forze per tentare di salvare il mondo da nuove minacce. La guerra fredda è roba da vecchi.


CAST & CREDITS

(The man from U.N.C.L.E.); Regia: Guy Ritchie; sceneggiatura: Guy Ritchie, Lionel Wigram; fotografia: John Mathieson; montaggio: James Herbert; musica: Daniel Pemberton; interpreti: Henry Cavill, Armie Hammer, Alicia Vikander, Hugh Grant, Sylvester Groth, Elizabeth Debicki, Luca Calvani; produzione: Davis Entertainment, Warner Bros.; distribuzione: Warner Bros. Italia; origine: U.S.A., 2015; durata: 116’


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