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Oscar 2015: la serata di Birdman

Pubblicato il 23 febbraio 2015 da Giammario Di Risio


Oscar 2015: la serata di Birdman

Se ne vanno a braccetto e abbandonano il proscenio Julianne Moore e Matthew McConaughey, con la prima vincitrice dell’Oscar come migliore attrice per Still Alice e il secondo nelle vesti di presentatore, più in carne e più disteso rispetto all’anno scorso, quando trionfò con Dallas Buyers Club. Siamo all’ottava ora di diretta e il Dolby Theatre è un continuo luccichio fatto di campi medi, piani americani, primi piani sugli artisti in gara; ci sono poi i loro custodi, quei presentatori che attizzano il fuoco dell’immaginario hollywoodiano, anch’essi attori, anch’essi profondi conoscitori del meccanismo scenico che, tra uno sguardo al maxi schermo sulla destra (la nostra sinistra) e un sorriso in macchina, puntano all’homo videns collegato da tutto il mondo, da cento paesi e più.

Manca poco alla premiazione del Miglior Film e il grande burattinaio, che ha l’ironia, lo charme e la velocità di Nick Patrick Harris, si dirige verso la valigetta custodita in bella vista in una teca, che dovrebbe contenere il responso. Il nostro si fa consegnare una chiave hitchcockiana, con il nastro rosso ben in vista, mentre l’attrice Octavia Spencer, che asseconda il presentatore dalla prima fila e dai primi minuti di diretta, continua a svolgere il ruolo di “controllore per una notte”. Ma siamo nel mondo della finzione e il tutto è un gioco per prendere più minuti di diretta e dare l’ultimo strappo al talento di Harris, che legge le sue “previsioni” per la serata mentre la camera indugia sulla platea divertita, da Jhon Travolta a Eddie Murphy, da Meryl Streep a Emma Stone, da Edward Norton a Cate Blanchett.

Dietro Harris una scenografia mobile, che va dai tendaggi rossi alle statuette Oscar mobili di varie dimensioni fino ad arrivare a tubolari circolari che formano degli enormi cerchi e ci riportano al grigio metallico dell’incipit di Indiana Jones e il Tempio Maledetto. Sullo sfondo un perforante schermo che commenta e emoziona, segnala e espande l’immagine mentre sul pavimento è nuovamente il tema circolare, avvolgente a farla da padrone. L’ultima “lezione”, con attesa elezione, viene affidata a Sean Penn, che entra in scena mentre la macchina da presa sembra quasi accarezzarlo e dialogare con il suo sorriso.

The Oscar goes to … who gave to this son of a bitch the green card? La sala scoppia a ridere e il pathos aumenta; per ore i vari attori hanno interpretato al meglio la parte didattica che gli è stata confezionata dall’Academy e solo a Penn è concesso di aumentare il climax. Ma il titolo arriva, Birdman, e allora sul palco sale tutto il cast e una musica jazz, che si collega ai piatti del film che accompagnano Michael Keaton nel suo sprofondo, avvolge il quadro. Alejandro González Iñárritu è già salito circa un’ora prima sul palco, per il premio alla Migliore Sceneggiatura, e in quella circostanza ha citato Billy Wilder e si è lanciato, facendo riflettere un perplesso Gianni Canova collegato nello studio di Sky Italia, in un peana sull’ego, l’individualismo e la storicizzazione che ogni film deve avere per essere giudicato adeguatamente. In realtà Birdman, nel suo eccessivo e lieto gioco di linguaggio, non punta sul tema ideale in dialettica tra maschera e vita reale, viceversa è un’operazione stilistica di grande virtù recitata ottimamente e che tiene incollato lo spettatore sfumando lentamente caratteri, intenzioni, tensione drammaturgica. Parte la sfilza di nomi da ringraziare e la stanchezza inizia a farsi sentire mentre dietro al regista messicano una raggiante Naomi Watts si stringe alla talentuosa e ironica Emma Stone, che nel film è forse il personaggio che più asseconda la sospensione che vive il protagonista tediato dalla sua carriera e dalle sue intime esigenze.

Di lì a poco la sala inizierà il deflusso e un dolly proporrà un’immagine con la statuetta ben centrata e la platea colorata convergente verso l’uscita. Nel mezzo poche le distorsioni, più che altro un ritmo veloce, rigoroso spezzato sapientemente dai cantanti ospiti e da qualche sussulto di Harris, che fa il verso al Michael Keaton/Birdman presentandosi dopo l’ennesimo spazio pubblicitario in mutandoni e calze nere.

E la nostra Italia? In questa serata di sogni e immaginario, restiamo felici e allibiti per la decisione degli organizzatori di inserire nell’intermezzo emozionale riservato agli artisti scomparsi quest’anno Virna Lisi e non Francesco Rosi; da qui ci possono venire in mente le parole di Frank Capra, sapientemente citate da Ben Affleck durante la serata: Non ci sono regole nel cinema, ma soltanto peccati. Un peccato imperdonabile quello dell’Academy, una svista che non doveva capitare. Esultiamo infine per Mirella Canonero e per il suo quarto Oscar con i costumi per The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, con quest’ultimo che, e torniamo al meccanismo buoni contro cattivi o se preferite vincitori e vinti tanto caro a Hollywood, è il vero sconfitto della serata.


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