X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



PARANZA: La sorpresa della stagione.

Pubblicato il 26 marzo 2015 da Monia Manzo


 PARANZA: La sorpresa della stagione.

Paranza, per noi ad oggi la vera scoperta teatrale della stagione in corso, si è distinta tra gli altri spettacoli per uno strabordante onirismo e al contempo per la toccante verità di quanto racconta. Paranza è la narrazione di un pellegrinaggio laico che si basa sul testo scritto da Katia Ippaso e diretto dal dittico Clara Gebbia e Enrico Roccaforte.

«Dal punto di vista drammaturgico, abbiamo seguito una doppia esigenza: pur mantenendoci lontani dal realismo, volevamo parlare dell’oggi e trovare una verità nella finzione scenica che rendesse i personaggi concreti ma allo stesso modo universali ed emblematici di quello che rappresentano» hanno dichiarato Clara Gebbia ed Enrico Roccaforte. «Per questo si è scelto, sin dall’inizio, di lavorare con Katia Ippaso, una drammaturga/giornalista che si è ispirata a vicende di cronaca italiana usando però una lingua e una scrittura di matrice poetica».

Lo spettacolo inizia con l’apparizione di una santa, forse una madonna in versione psichedelica, che irradia, attraverso dei lacci rossi, un palcoscenico carico di colori barocchi, evocando antichi sincretismi di religione e superstizione. Il suo canto celestiale avvolge gli spettatori, trasportandoli in una dimensione mistica interrotta dalla comparsa degli altri personaggi dello spettacolo.

Non a caso Paranza vuole alludere proprio a questo miracolo: significa associazione di barche che pescano insieme, una parola usata spesso per designare quei gruppi di fedeli che insieme affrontano un pellegrinaggio dai quartieri di Napoli sino alla statua della Madonna dell’Arco, cantando e digiunando, per chiedere un miracolo, appunto.

I quattro individui, quattro realtà completamente differenti si ritrovano a percorrere una sorta di via Crucis, evocando i mistery plays della letteratura medievale inglese. Ognuno di loro è infatti affetto da uno dei peggiori "mali" italiani: la disoccupazione; e spera di ricevere il miracolo unendosi ad altri tre sconosciuti che con in spalla una serie di cubi in ferro, evocativi delle statue dei santi cattolici in processione, camminano per chilometri e chilometri. I personaggi simboleggiano in modo evidente la trasversalità della miseria e dell’impoverimento dei nostri giorni: una vedova del terremoto, forse in Irpinia o in terre abruzzesi; una barbona, una cantante, che inizialmente è la stessa figura della santa, forse un richiamo all’elemento divino del dionisiaco, e per gioco del destino un ex tagliatore di teste, come si suole chiamare più volgarmente colui che si occupa della selezione del personale in aziende sempre più agguerrite.

Vivono tutti giorno per giorno, senza poter sapere cosa accadrà nel loro imminente futuro e c’è chi come la senzatetto si accontenterebbe di un ospedale, dove poter avere cibo e letto assicurati. Si scrutano, si scontrano per le diverse "accezioni" e livelli di povertà, si consolano accomunati da quella struggente tristezza che possiedono tutti coloro che non hanno nulla, reietti, abbandonati dalla società indifferente o impotente di fronte a tanta miseria. In una giostra di racconti delle proprie disastrose vite arrivano finalmente laddove sembra esserci salvezza: come in un’opera beckettiana forse il divino, dopo un’attesa estenuante, è giunto al loro cospetto sotto la forma di un uomo ricco. Tutti cercano di ottenere il miracolo, ovvero aiuto economico da quella figura in lontananza, come un miraggio biblico. Gli attori scelti dai registi Clara Gebbia e Enrico Roccaforte si sono dimostrati perfettamente all’altezza del loro compito, le voci in dissonanza a volte invece perfettamente all’unisono hanno suonato note commoventi al di sopra del significante delle parole. La parte finale dello spettacolo, al contrario dell’opera di Beckett Aspettando Godot, ha una chiusura: il miracolo sì arriva, ma a differenza di ciò che si potrebbe immaginare si manifesta sotto le spoglie del diritto fondamentale all’associazione, ripristinando la solidarietà tra gli esclusi, base per un’utopia laica nelle società moderne.


(Paranza) Regia: Clara Gebbia e Enrico Roccaforte ; testo: Katia Ippaso; luci: ; musica e direzione musicale: Antonella Talamonti; liriche: Katia Gebbia; interpreti: (Nenè Barini), (Filippo Luna), (Germana Mastropasqua ), (Alessandro Roca); produzione: Teatro Biondo di Palermo.


Enregistrer au format PDF