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PERCHE’ FACCIO QUESTO FILM

Pubblicato il 17 ottobre 2005 da Edoardo Zaccagnini


PERCHE' FACCIO QUESTO FILM

La dialettica commedia-botteghino può passare, e spesso lo fa, attraverso il filtro dell’attore, del comico, della star. Questi è da sempre una figura sfuggente, un artista abituato a creare lo spettacolo dalla sua performance, un individualista che mal sopporta la direzione di un regista: “un selvaggio” come lo chiama Marcello Cesena. Chi scrive una commedia, invece, a meno che non voglia puntare esclusivamente sul talento dell’attore, e in quest’ultimo caso prediligerebbe un aspetto più commerciale svuotando la storia di valori sociali e di contenuti, punta più sulla “situazione” che sulle folate e gli acuti dell’attore. Rimane il fatto che “l’omino dei soldi” sa bene quanto un viso o un nome possano cambiare le sorti di un film. Il tema dell’attore, perciò, diventa materia interessante e delicata: Manfredonia, altro regista presente al terzo incontro di Ring, si è detto soddisfatto di aver lavorato con attori comici di grido come Albanese, De Luigi, e Gioele Dix. Ha chiarito la loro totale disponibilità a collaborare e la fortuna di poter contare sul talento. “L’attore - ha proseguito Manfredonia - va apprezzato e coccolato, amato come si fa con una bella donna”. Cesena, dal canto suo, è sembrato avere un rapporto più conflittuale con gli attori. Ha preferito la convivenza di due interpreti importanti, così da smorzare la potenza esplosiva e accentratrice di entrambi, quasi una diarchia in grado di garantire la giusta libertà e la supremazia al super partes, al regista creatore. Ovviamente, quando si parla di commedia italiana e di attori comici, il riferimento obbligato è al passato, al grande passato. Tuttavia, in sala, la discussione ha toccato altri punti importanti, soprattutto volti a chiarire certi lati oscuri del rapporto attore-regista. Una giovane attrice ha chiesto quanto ci sia di vero nelle risposte che gli agenti le hanno spesso buttato addosso: “Quel regista lavora sempre con gli stessi attori, è inutile provare!”. La risposta dei registi è stata netta e decisa: “Questa è una cazzata enorme. Queste cose le dicono gli agenti che non hanno voglia di lavorare. Per un regista è sempre ben accetto l’arrivo di una videocassetta, o di un qualsiasi documento che possa far scoprire un volto nuovo. Il cinema italiano, e la commedia stessa, ne hanno un enorme bisogno. Per quello che riguarda i volti femminili la situazione è ancor più grave. Inverosimile, quindi, pensare che non abbiamo interesse ai giovani e ai volti non noti.” Anna Di Francisca si è descritta attentissima a tutto ciò che vede muoversi su schermi e palcoscenici e ha confessato di conoscere la precarietà professionale dell’attore, considerandolo un patrimonio indispensabile e delicatissimo. La libertà e la spontaneità del Ring hanno consentito a un agente presente in sala di replicare e di ricordare quanto la logica del denaro così avvinghiata al cinema e alla commedia, possa impedire o comunque porre forti freni alla presentazione di un volto sconosciuto. Proporlo significa, oltre a faticare tanto, assumersi dei rischi. Molto spesso la produzione impone nomi e volti, non tenendo per nulla in considerazione il parere del regista. Questa strana creatura, soprattutto quella che opera in campo televisivo, è in questo senso un semi-impiegato delle poste, un tecnico che accetta i volti regalatigli dai funzionari. E ancora una volta il problema nasce dalla mancanza di un’organizzazione generale, dall’assenza di un meccanismo valido e funzionante, soggiacente al cinema italiano. Quello che accade con gli attore capita con tutte le altre categorie artistiche del settore, dai registi, agli sceneggiatori, ai produttori stessi. Per non parlare dei critici: oggetti misteriosi aggrappati alla loro passione, alle chiacchierate con i loro simili, e rassegnati all’idea di non contare su una forza istituzionale in grado di sorreggerli e rafforzarli.


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