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Pinocchia

Pubblicato il 3 luglio 2014 da Simone Isola


Pinocchia

Pinocchia è un testo ambiguo. Dietro la crosta sottile della fiaba, Benni ha esposto una riflessione non superficiale sul rapporto uomo-donna nella società contemporanea, ancora più spiazzante in quanto portata avanti con percorsi all’apparenza noti allo spettatore. Solo che qui Geppetto è un ruvido e solitario frequentatore di hotline telefoniche, che vive alla ricerca di una donna che sia figlia, amante, moglie. Acquista dunque una sorta di androide, Pinocchia, che come nella fiaba di Collodi vuole lentamente conquistare la propria indipendenza, simulacro parlante di un universo femminile che tenta di ribellarsi ad una società segnata da ruoli definiti e da rapporti personali fondati sul potere e su canoni estetici sclerotizzati. In lei in tal senso si annidano aspetti complessi e contraddittori della donna contemporanea, un mix di umanità e ruvida meccanica, ingenuità infantile e forza seduttiva. La verità non esiste in questo cangiante e fantastico universo di opposti che si attraggono e si respingono senza sosta, segnati da pochi ma precisi elementi della contemporaneità: internet, tv, ecc. Scompare ogni traccia di moralità fiabesca, trionfa un cinismo moderno fatto di incomprensioni, rapporti difficili da vivere senza ricorrere alla menzogna. Il grillo parlante somiglia molto ai tuttologi televisivi, attenti molto più alla forma che alla sostanza delle parole; così gli altri personaggi, dai "gatto e la volpe" alla fatina, alludono a una contemporaneità rutilante, dove troverebbero posto come disonesti impresari o tronisti televisivi.

La versione proposta da Monia Manzo traduce perfettamente il tono sospeso del testo di Benni attraverso i diversi elementi della messinscena: dalla scenografia, essenziale ed iconica, alla recitazione, vivace ma al tempo stesso attenta a restituire le sfumature dei personaggi. L’equilibrio raggiunto dallo spettacolo esalta dunque gli aspetti più sottili del testo, donandogli il giusto respiro e la corretta tensione drammatica. A rompere i giochi verbali intervengono brevi inserti musicali, pause sapientemente studiate e che inducono lo spettatore alla riflessione nel profluvio senza sosta di parole. La regia è abile nel portare avanti la storia ambigua di un rapporto complementare ma in continua evoluzione, che da padre e figlia si rovescia in quello di madre e figlio, fino ad assumere le sembianza di una coppia di amanti. Lo spettacolo strappa sorrisi ma spiazza continuamente lo spettatore con giochi verbali, improvvise accensioni drammatiche, virtuosismi linguistici che nascondono tuttavia allusioni precise e puntuali. Resta dunque nello spettatore una precisa nota dissonante che non può nascondersi dietro una fiaba. E’ quel male di vivere che la società contemporanea ha tradotto in rapporti spersonalizzanti, in dialoghi tra sordi, in due universi, maschile e femminile, in perenne rotta di collisione.


In scena al Teatro dei Conciatori, Roma, 30/06,01-02/07. Regia: Monia Manzo. Testo di Stefano Benni. Interpreti: Monia Manzo, Monia Manzo, Gioia Cellentani, Lorena Tuveri, Paolo Cordiviola, Nadia Clivio; scene: Fabio Calascibetta


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