X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Poetry

Pubblicato il 1 aprile 2011 da Salvatore Salviano Miceli


Poetry

È tutto racchiuso nel sorriso di Yun Junghee (attrice icona del cinema Koreano) il senso di Poetry, ultima pellicola firmata da Lee Chang-dong che torna a Cannes, in concorso, a distanza di tre anni da quel Secret Sunshine che, nel 2007, valse il premio come migliore interpretazione femminile a Jeon Doyun, quest anno protagonista sempre di The Housemaid. Il sorriso di una nonna di sessantacinque anni che lentamente inizia a spegnersi durante il film trasformandosi, infine, nelle malinconiche strofe di una lunga poesia accompagnate da un montaggio che accresce a dismisura l’elemento patetico già piuttosto pronunciato.
Non c’è spazio per l’ottimismo nel film di Changdong. Al contrario il dolore, generalizzato a più personaggi, da subito assurge a protagonista e, direttamente o meno, diviene il motore reale di ogni azione che si consuma sullo schermo. Nonostante questo, però, il film è da leggere soprattutto come un lungo elogio del sapere osservare. Così come Junghee inizia ad esplorare con sempre maggiore profondità ogni singolo elemento che le si pone innanzi per riuscire a comporre la sua agognata poesia (la nostra protagonista si iscrive ad una scuola proprio per imparare l’arte dei versi), noi siamo chiamati ad accompagnarla facendo un po’ da suoi occhi di scorta, sforzandoci di emulare il suo stesso atteggiamento di chi cerca di andare oltre il primo sguardo.
La riflessione sulla poesia è, dunque, un invito ad aprire la mente, a guardare oggetti, persone e situazioni con cura ed attenzione. Che tutto questo comporti più fatica e, spesso, una forma di insopportabile sofferenza, pare non importare né alla nostra protagonista né, tantomeno, al regista che pare volerci suggerire la via più vicina per raggiungere la verità. Come già nei suoi film precedenti, soprattutto Secret Sunshine, Changdong rifiuta l’idea di un racconto asciutto preferendo la via delle metafore e delle grandi e lunghe riflessioni.
Qualche taglio avrebbe giovato non poco ad una pellicola che non tradisce l’eleganza del suo autore né quella commozione per un personaggio positivo che, improvvisamente nella sua vita, è costretto a confrontarsi con il dolore, suo personale (è il caso della malattia), o procurato da chi le sta intorno (la colpa di cui si macchia il giovane nipote).
Resta però il dubbio che l’autore si sia lasciato trasportare dal suo stesso racconto, che non abbia saputo trovare un freno ad un lirismo che, specie nel finale, appare troppo didascalico. Il film merita di essere visto, così come non ingiusti sono gli applausi di una stampa che lo ha accolto con delle ottime risposte. Tra ieri, con il film ucraino, ed oggi, il concorso, comunque lontano ancora dall’entusiasmare, inizia forse a delineare i suoi possibili esiti.


CAST & CREDITS

(Shi); Regia, soggetto e sceneggiatura: Lee Chang-dong; fotografia: Kim Hyunseok; montaggio: Kim Hyun; scenografia: Sihn Jeomhui; interpreti: Yun Junghee (Mija), Lee David (Jongwook), Kim Hira (M. Kang), An Naesang (il padre di Kibum); produzione: Pine House Films.; distribuzione: Diaphana Distribution; origine: Korea; durata: 139’;


Enregistrer au format PDF