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PUNCH DRUNK LOVE

Pubblicato il 3 aprile 2003 da Edoardo Zaccagnini


PUNCH DRUNK LOVE

Si formano peticelli che per quanto li aiuti a farlo non riescono a esplodere, devi solo aspettare che tornino indietro. Così il film di Anderson, che somiglia a tanti film del passato, tutti brutti. Nei suoi film c’è sempre una sottrazione da fare nella quale Scorsese fa da minuendo. Perché non si tratta di omaggi o citazioni ma, pare, di una volontà ad aggiornarne motivi estetici e polemica sociale. Un segno evidente sono i continui riflessi fotografici in bianco rosso blu - i colori della bandiera - motivo cromatico/strutturale tipico del creatore di Gangs of New York (guarda da ultimo le strade bagnate in Bringing out the dead/Al di là della vita). Oppure, come in Casinò, le voice over montate sulle scie di colore che ricordano gli acrilici della pittura pop e iperrealista, tanto che quando il protagonista fa il suo solito giretto claustrofobico nel supermercato ecco l’obiettivo scorrere la scansia del pomodoro Campbell. Adam Sandler è bravo,simpatico e la piega amara della bocca riesce solo per un momento a farlo squadrare da quella serie di scatti nevrotico/demenziali nei quali è imprigionato, di scena in scena, e fare da mimo alle grandi trovate del suo creatore che intende parodiare le psicosi contemporanee del monsieur Travet californiano. Il kafkismo più trito viene rosolato al punto giusto, prima che possa esplodere la violenza, per sterzare nella commedia. Sterzasse dove vuole Anderson, fino a Miami: un viaggio noioso non si rende avventuroso mettendosi improvvisamente a zigzagare. Una delle spie di questa ingombrante superficialità sta nel profilo di edificio, un magazzino, che il protagonista fissa dall’altro lato della strada dove lavora. Il moloch delle merci all’ingrosso sta là, fermo, indistruttibile. Veglia sulla strada dove le auto sfrecciano giorno e notte e qualche volta cappottano, come se nulla fosse, all’improvviso. Ma questo simbolo architettonico è statico, e profilo rimane. Quanta giovane letteratura americana viene arredata dal brutto di questi luoghi, delle periferie commerciali, dai megastore, dalle vetturette e dai monolocali a soqquadro, divenendo piacevole, armonica, godibile perfino? Far deflagrare una vetrina (visione, dirà il cinecritico) o devastare il cesso di un ristorante, come fa il nostro personaggino, non procura ire mondane in uno spettatore che toglie gli occhi dallo schermo e li leva su e attende ancora. Senza ebbrezza, senza amore.

[aprile 2003]

regia: Paul Thomas Anderson, sceneggiatura: Paul Thomas Anderson, montaggio: Leslie Jones fotografia: Robert Elswit, musica: Jon Brion interpreti: Adam Sandler, Emily Watson, Philip Seymour Hoffman, Luis Guzman,produzione: USA 2002.

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