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Quale cinema nei festival?

Pubblicato il 10 novembre 2004 da Mazzino Montinari


Quale cinema nei festival?

Certi Bambini dei fratelli Frazzi e Il dono di Michelangelo Frammartino sono due film italiani che hanno saputo imporsi all’attenzione della critica e che hanno riscosso un discreto successo nei festival internazionali. E’ una tendenza ormai consolidata quella di aggirare il malessere cronico della distribuzione cinematografica italiana (legata a doppio filo allo strapotere del duopolio televisivo) cercando una via alternativa nei concorsi. Al di là dei premi in palio, c’è l’opportunità di vedere un film sul grande schermo. Insomma, si riesce a colmare parzialmente il debito di visibilità contratto soprattutto dai registi indipendenti e fuori dal coro. Da questo punto di vista non si può che apprezzare il lavoro di ricerca svolto dai festival. Tuttavia, quella che abbiamo definito una tendenza potrebbe avere un effetto collaterale di un certo peso, ossia quello di portare i registi a concepire progressivamente un cinema elitario fatto a uso e consumo degli addetti ai lavori e dei cinefili che normalmente popolano le mostre e i festival. Non siamo ancora in grado di affermare in modo netto quale dei due aspetti sia più forte, se quello meritorio e “democratico” del rendere visibili opere altrimenti destinate all’oblio o quello “inquietante” del salotto cinematografico per intellettuali (o presunti tali). Forse è sempre stato così solo che oggi questa ambiguità la si nota di più perché la quantità di festival è aumentata in modo esponenziale. Il dono, stando a quanto afferma Frammartino, ha partecipato a una quarantina di manifestazioni e non c’è settimana in cui non venga proiettato Italian Sud Est, un film perennemente in concorso. La domanda che vorremmo porre è dunque questa: che tipo di cinema è quello dei festival? E non ci riferiamo a quello per così dire sperimentale, bensì a un cinema di “consumo” (ad esempio Certi bambini) che si ammanta di una specifica autorialità o a quel cinema che pare un vero e proprio esercizio di stile atto a rapire l’attenzione della critica e delle giurie. Abbiamo scelto come esempi Il dono e Certi bambini, che sostanzialmente sono due buoni film (e proprio per questo si deve operare una critica più radicale), perché in entrambi si manifesta una mancanza. Sono film “freddi” che si esauriscono nel proprio stile e che non rimandano ad altro se non a se stessi. Sia i fratelli Frazzi che Frammartino non permettono di evadere dalla realtà che hanno messo in scena. E la cosa è paradossale poiché entrambi si riferiscono a una realtà quotidiana, ma la testimonianza finisce per perdersi all’interno di una messa in scena artefatta che preclude uno sguardo altrove, uno strabismo necessario per definire un’opera cinematografica un vero e proprio “oggetto di senso”. In Certi Bambini si racconta la tragica vicenda di infanzie rubate. La città è Napoli, il Paese è l’Italia, eppure sia Napoli che l’Italia sono fuori campo, un fuori campo che non si riesce nemmeno a vedere in forma di evocazione. Stesso discorso, anche se lo stile è radicalmente diverso, vale per Il dono nel quale la storia è quella di una ragazza con disturbi mentali che subisce abusi sessuali da alcuni uomini di un piccolo comune calabrese, Caulonia, e che riceverà l’aiuto sorprendente da parte di un anziano, interpretato dal nonno di Frammartino. Anche in questo caso il disegno è perfetto ma non dà spunti per andare oltre. La mancanza del fuori campo e l’adesione incondizionata a uno stile, se da un lato possono essere apprezzati da quella parte di critica che reclama film con un proprio linguaggio cinematografico, dall’altro lato non finiscono per rinchiudere il cinema in una specie di torre d’avorio o, comunque, in un gradevole parco per animali in via d’estinzione? Sarà pur vero che un autore non deve condizionare il proprio genio alle leggi del grande pubblico e del mercato (peraltro alquanto asfittico). Tuttavia è proprio riferendosi agli spettatori che un film inizia a tracciare dei percorsi di senso imprevisti e produce un immaginario collettivo.

[novembre 2004]


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