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Quando meno te lo aspetti

Pubblicato il 18 luglio 2013 da Vincenzo Libonati
VOTO:


Quando meno te lo aspetti

Gli ci vollero tre visioni a Truffaut prima di apprezzare il film Alì Babà di Becker. Tre visioni per apprezzare particolari che gli erano sfuggiti la prima volta quando il film lo aveva deluso. La seconda volta lo aveva annoiato, la terza, miracolo del cinema, lo aveva “appassionato e incantato”. É molto probabile che una seconda e forse una terza visione di Quando meno te lo aspetti, gioverebbe ad un giudizio che invece allo stato attuale galleggia sulla sufficienza.

La commedia, che si sarebbe potuta chiamare anche Il fascino dei difetti, si snoda come una serie di scatole cinesi per cui una storia è contenuta in un’altra che a sua volta ne contiene un’altra ancora. Una favola moderna che a sua volta contiene favole antiche che si svolgono parallelamente senza mai incontrarsi. Forse, la pur brava regista Jaoui avrebbe voluto che le microstorie afferenti al racconto principale viaggiassero in parallelo, ma l’entropia purtroppo prevale sulla dritta via e come Laura (Agathe Bonitzer), rischiano di faire le chemin de l’école, perdendosi nel bosco. La favola si respira bene, si respira tutta e non tanto per i balli a corte o per via della scarpa persa da Sandro (Arthur Dupont) che deve scappare via a mezzanotte per andare a prendere la madre a lavoro. Trasposizione moderna di una favola o più favole, vero, ma forse un po’ banale. Scorrazzando per una Parigi sempre bella, a tal punto che in alcune immagini la Senna pare il mare, grazie anche agli echi sonori dei gabbiani, qualche altra banalità appare e impressiona la pellicola. Le corse da tempo delle mele fra i due giovani innamorati Laura e Sandro, per esempio, pur rimanendo inattaccabile il concetto che l’amore a Parigi è sempre diverso, non c’è niente da fare, assume delle tonalità che in nessuna altra città sarebbero e saranno mai possibili. (Forse la Ville Lumiere si chiama così perché agli innamorati brillano gli occhi in modo diverso che nelle altre città). O come la scena del podologo, già vista in tanti film, uno su tutti Testa o Croce di Nanni Loy del 1982 con un Nino Manfredi in forma strepitosa. Alcune trovate sono eccellenti, come gli acquerelli che si dissolvono in entrata nella scena. O come gli animali che si aggirano per lo spazio quasi a far credere allo spettatore che il film stia virando verso una dimensione ancora più favolistica. L’orso sulla finestra, il cervo nel bosco o il pesce volante. Commedia sulle righe. Commedia sulle rughe. Quelle sui volti nelle due declinazioni possibili: accettazione e rifiuto e quelle che travalicano la pelle scendendo sotto e lasciando segni a volte indelebili. Una veggente aveva predetto a Pierre (Jeann-Pierre Bacri), che il quattordici marzo di quell’anno sarebbe morto, Pierre non ci aveva mai pensato seriamente. Almeno fino a qualche giorno prima. Sembra che il quattordici marzo, non debba mai arrivare per nessuno. Mentre ineluttabilmente arriva e a volte lo senti, altre meno. Non è dato sapere se il perno della storia volesse essere questo o la balbuzie di Sandro, o l’incapacità a guidare di Marianne (Agnès Jaoui), nel botox di Fanfan (Beatrice Rosen), negli affari di cuore di Laura che in battere batte per Sandro e in levare si leva per Maxime Wolfe (Benjamin Biolay). E, a proposito di battere e levare, magnifica la colonna sonora, con dei contrasti taglienti e assordanti. Fra sacro e profano, antico e moderno.

Più che le altre microstorie sono degne di nota alcune scene, come la psicoanalisi in automobile, (ci si potrebbe ricavarne un genere), con ottimi dialoghi e del resto Bacri e Jaoui, insieme brillano. O come l’incontro a casa di Sandro fra lui e suo padre Pierre.

Scritto sia dalla regista che da Bacri, il film promette molto e mantiene solo in parte. Per citare nuovamente Truffaut che a sua volta cita Giraudoux nel manifesto Politica degli autori: “non ci sono opere ma solo autori”. Questo film è un ottimo esempio di come un buon autore possa fare un film non eccellente.

Rimane sempre un po’ scuro, forse troppo, risaltano bene i tradimenti e i nodi delle varie narrazioni, gli stessi nodi che verranno poi sciolti uno ad uno, alcuni in bene altri in male. E se i nodi risaltano bene, gli intrecci, ed è cosa differente no. Lieto fine e tragedia a braccetto per Parigi.


CAST & CREDITS

(Au bout du conte) Regia: Agnès Jaoui; sceneggiatura: Jean-Pierre Bacri, Agnés Jaoui; fotografia: Lobomir Bakchev; montaggio: Fabrice Rouaud; interpreti: Agathe Bonitzer (Laura), Agnès Jaoui (Marianne), Arthur Dupont (Sandro), Jean-Pierre Bacri (Pierre); produzione: Memento Film Productions, France 2 Cinéma, Les Films A4; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia; durata: 112’.


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