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QUEL CHE SAPEVA MAISIE

Pubblicato il 20 marzo 2003 da Alessandro Borri


QUEL CHE SAPEVA MAISIE

In Obsession Brian De Palma faceva interpretare il flashback del rapimento di Sandra bambina alla stessa Geneviève Bujold che la interpretava da adulta. Lo stesso meccanismo di presentificazione del ricordo è al centro di Quel che sapeva Maisie, ultima delle operazioni ronconiane di trasposizione romanzesca che già avevano raggiunto risultati eccellenti con Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Qui, in particolare, si fa fulcro espressivo dell’operazione il passaggio dal dialogo alla terza persona, che rimarca la dialettica tra l’indefinito tempo della narrazione e l’illusoria concretezza del passato narrato, tra cui Maisie - vittima della nascente cultura del divorzio - è perduta come in un corridoio d’echi, sdoppiata, contesa, strattonata tra i due tempi, i due (poi quattro, e sei) genitori, case, visioni del mondo. Rievocando la sua spodestata giovinezza Maisie se ne fa guida, portavoce, selezionatrice e reinventrice nella messa in scena fantastica ordita dalla sua camera oscura mentale. Sballottata qua e là, sacrificata sull’altare delle convenzioni sociali, Maisie si aggrappa a cangianti e sempre provvisori sostegni: allo splendore da ritratto boldiniano di Galatea Ranzi, celante molteplici doppiezze; alla rigida ma alfine amorevole supervisione di Giuliana Lojodice, che impiglia un’altra bambina morta nella sua tela di memorie; alla presenza scultorea quanto artefatta di Gabriel Garko. Presa nel girotondo di ipocrisie ordita dagli adulti, Maisie ne è centro e coscienza, costantemente scissa. L’ambiente in cui si muove è quello di una spettrale borghesia stilizzata in caratterizzazioni programmaticamente sopra le righe. Una serie di sonnanboliche conversation pieces gettate nel cotè funebre di costumi e drappi neri; orologi sui tavoli a segnare il tempo e campanelli a rimarcare il cambio di semestre; carrozze e treni per Parigi in mostra come per un gotico museo delle cere orchestrato con la consueta sapienza coreografica da Ronconi. Ma come previsto è la prova di Mariangela Melato che calamita l’attenzione. La sua Maisie vive tra mimesi e astrazione: ogni tanto i toni si lanciano verso l’alto in cadenze meccaniche e bamboleggianti per rivelare l’inganno, eppure la straordinaria infantilizzazione avviene soprattutto nelle deliziose andature cantilenanti, nella gestualità espansiva e anelante al contatto, in certe sospensioni di immota iconicità. Infine, violentata dalla scoperta del verminaio umano che le si spalanca innanzi, la bambina perde abruptamente la propria fanciullezza, per diventare nell’ultima scena una povera cosa ormai inutile, dura e fragile, devastata dalla consapevolezza.

[marzo 2003]

Cast & credits:

Di Henry James regia: Luca Ronconi; scenografia: Margherita Palli; costumi: Elisabetta Beraldo; luci: Gerardo Modica; musica: a cura di Paolo Terni; interpreti: Mariangela Melato, Emanuele Vezzosi, Lucrezia Lante Della Rovere, Galatea Ranzi, Giuliana Lojodice, Gabriel Garko; produzione: Piccolo Teatro di Milano, Teatro di Genova.


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