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radiodrama

Pubblicato il 14 luglio 2012 da Emiliano Paladini


radiodrama

And no one sings me lullabyes. Circostanze artistiche cablate. Dalle radio plays verso l’arte elettronica vediamo cosa si riesce a fare - You cannot complain that this stuff is not written in English. It is not written at all. It is not to be read. It is to be looked at and listened to. His writing is not about something. It is that something itself - questo è Samuel Beckett su Finnegans Wake.
Si comincia con parte di un testo dei Pink Floyd (Meddle), e partire dall’encomiabile e indimenticabile schiettezza di Roger Waters è sempre un buon punto di partenza. E nche se vero è che ne ha sempre avute un po’ per tutti, l’unico che non ha insultato o di cui probabilmente non ha nulla da dire è però unicamente sé stesso.
E nonostante pure in questo caso il punto di partenza dovrebbe essere la musica di Dvorak, il suo rapporto con Burleigh e i canti afroamericani quelli native americans e quelli scozzesi (Dvorak li vide quasi identici), per un giro che ancora una volta dalla Nuova Scozia va verso New Orleans sulla tratta della cultura cajun e verso qualunque cosa s’intenda per qualcosa di tipicamente di New Orleans; sono un sacco le cose che non servono a niente e questa che segue è una delle tante sull’elettrificazione delle visioni artistiche contemporanee.
1965, Beach Boys’ Party - laughter and background voices aggiunti come effetto scenografico alle perfette registrazioni musicali diventeranno noise nel genere psycho/space rock. E’ da qui che parte la psichedelia e potrebbe proprio essere questo il disco più bello del mondo, Beach Boys’ Party (Joe’s Garage è allora la canzone migliore): tre anni prima di Beggars Banquet dei Rolling Stones, più ironico di qualunque disco dei Beatles e poi lì c’è, al di là di una versione di Papa Om Mow Mow, Mountain Of Love, gloria dei concerti di Springsteen dei primi anni (i Beach Boys e non i Beatles aprono le strade del nuovo suono e della cultura hippie con le spiagge metropolitane). Ed è poi esattamente da lì che partono gli Stone Roses, per chiudere un discorso - niente di cui stupirsi se il primo tremolo picking della storia (altro dettaglio che dalla classica evolve verso il pop/rock contemporaneo) di Dick Dale nella prima versione surf di Misirlou ha contribuito al successo di Pulp Fiction.
E se la letteratura pulp nasce con l’Ulisse, si può introdurre Days Of Future Passed descrivendo coi suoni in musica una perfetta parabola conclusiva dell’uomo comune come coi Dubliners e oltre. Ma si può risalire anche a Face To Face dei Kinks, dell’anno prima, 1966, con molti tratti di testo paralleli esattamente a Days Of Future Passed dei Moody Blues che dell’Ulisse di Joyce sembrain ogni caso proprio essere la prima identità musicale, o che comunque è una delle prime epopee musicali descrittive dell’uomo della strada (Here Comes Everybody, per dirla con Joyce; A Day In The Life, chioseranno i Beatles) una cui echo arriva fino a Escluso Il Cane di Rino Gaetano - California Dreaming per assonanza o The Long Black Veil dei Cheftians con Mick Jagger.
Detto che la versione dei Nomadi è una canzone completamente diversa, e che senza andare a indovinare un titolo anche dagli Slayer ci si può aspettare una cover di Nights In White Satin, o di Ozzy Osbourne, visto che anche lui coi Black Sabbath è di Birmingham come i Moody Blues, nell’originale inglese la canzone è proprio posta alla fine del disco e della giornata che il disco racconta, ed è l’uomo a dire di sì alla donna, rispetto alla conclusione dell’Ulisse (Diary Of A Madman, appunto, Ozzy Osbourne, 1986, l’anno di Franks Wild Year, Un Operachi Romantico In Two Acts, a Chicago, 22 giugno, Steppenwolf Theatre Company con Mahony, Malkovic e Sinise tra gli altri che vi hanno lavorato; You’re Innocent When You Dream, una traccia a caso, memorabile trasformazione del Liebestraum N.3 di Liszt come l’Hallelujah di John Cale - hallelujah Jesus, hallelujiah, Public Enemy - attraverso ogni massacro successivo del sogno perpetrato con encomiabile costanza nel tempo).
Pulp fiction, si diceva, appunto, narrativa pulp sostanzialmente, l’Ulisse, il Jazz, le onomatopee sinestetiche, la Grande Hollywood e la Lost Generation che insieme fanno e dicono qualcosa di molto migliore di qualunque avanguardia artistica europea del Novecento soprattutto francese che i maudits (flower power), il cinema e la musica psichedelica (Berlioz) avevano inventato.
Ed è questo il contesto overexcited in cui Beckett (Film, 1964, con Buster Keaton; e comunque ogni tanto leggersi un po’ di Beckett è sempre meglio di un qualunque trip psichedelico) entrando e uscendo dalle pagine di Joyce e parallelamente a Welles (Chimes At Midnight, solo per fare un esempio; ma qui si pensa alla derivazione dalle radio-plays dell’arte elettronica contemporanea non solo performativa) costruisce un progetto che anche Andy Warhol ha preso in considerazione verso la confluenza di più espressioni artistiche elettroniche considerate assieme (photo: courtesy of Les Editions De Minuit).


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