ROCKY BALBOA

L’epopea del mito, del corpo-cinema continua, va in scena Rocky Balboa, nome e cognome a suggellare il focus assoluto, il trono del pugile italiano più longevo del mondo.
Stallone disegna su se stesso un personaggio dall’alto tasso di malinconia, l’ex pugile ritirato dalle scene che dirige un ristorante italiano e vive dei racconti agli astanti di un glorioso passato fatto di lavoretti per il boss locale del quartiere, di sudore sul ring in palestre sgarrupate, di incontri in diretta mondiale con mastodonti neri e macchine da guerra-fredda dal vago aspetto ariano. Un personaggio che circola con un vecchio furgone, un signor Nessuno al di fuori del microcosmo della cucina e dei tavoli del suo locale. Un uomo sconfitto dalla vita, che ha subito la perdita dell’amata Adriana (ma dalla scritta sulla tomba sappiamo chiamarsi Adrian, cade un mito) e il progressivo allontanamento di un figlio schiacciato da una eredità troppo pesante in termini di onestà e perseveranza.
L’epitome dell’american dream a tutti i costi, del successo come risultato ‘naturale’ dell’impegno e del sudore. Non si può nascondere che il sesto episodio della saga che infiniti addusse lutti ai nasi e volti dei suoi contendenti, risulti, dopo il primo episodio del 1976, il più riuscito ed emozionante. La lunga discesa agli inferi dello Stallone Italiano in una Philadelphia sempre più sporca e inospitale spicca grazie alla calibrata scelta di non girare in scenografie ricostruite in studio, ma utilizzando scene reali, strade e interni che trasudano quotidianità, compreso l’epico incontro finale, girato a Las Vegas durante le pause di un vero incontro di boxe, che ha permesso di utilizzare il ‘vero’ pubblico dell’incontro, entusiasta di poter vedere dal vivo le scene del mito-Rocky.
Stallone torna dietro la macchina da presa per raccontare a modo suo il personaggio più connotato di una carriera non certo eclettica di attore. Gira con uno stile che volutamente non implica difficoltà pratiche di regia, senza lunghe carrellate e complicati movimenti di macchina. A volte il risultato appare rozzo e poco efficace, ma il privilegiare la macchina a mano aiuta lo spettatore a calarsi meglio nel mondo disordinato e senza punti fissi dell’ex campione del mondo. Si assiste a un diluvio di primi piani e ad un uso privatistico del piano americano fisso: Stallone non si risparmia in nessuna inquadratura, risultando presente al 100% in ogni singolo fotogramma, ma senza per questo risultare moltiplicativamente debordante. La presenza di Rocky è necessaria e fondamentale, per non far cadere la Torre di Babele improntata su un impianto narrativo debolissimo e non certo supportato da dialoghi illuminanti o folgorati da innata originalità.
Risultano pessime e senza spessore le scene dell’incontro finale, riprese con stile televisivo e con il perenne logo dell’emittente in primo piano, come a suggellare un realismo non richiesto, evitando uno stilema di regia più personale e coinvolgente. Non coadiuva certo un doppiaggio imbarazzante per quanto riguarda i personaggi principali e la mancanza al microfono di studio del compianto Ferruccio: Rocky ha ora una voce che pare quella di un ubriacone al bancone del bar, strascicata e poco incisiva, ma vero è che il pubblico italiano era abituato troppo bene. Rocky Balboa racconta non solo la storia di un riscatto universale e personale, ma racconta un mondo che ha bisogno di eroi granitici e positivi, che ha bisogno di sognare con i personaggi con cui si è cresciuti, Rocky Balboa racconta un mito greco di kalos e di agathia, Rocky Balboa racconta il mito di una scalinata, quella di Philadelfia, che riesce ancora ad emozionare, facendo saltare sulla poltrona alla prima nota di Gonna fly now e alla visione della felpa chiara con cappuccio usata per gli allenamenti. Basterebbe questa scena, cui forse molti storceranno il naso, per dare un buon motivo per vedere l’ultimo episodio della saga del pugile più naif mai visto sullo schermo.
(Rocky Balboa); Regia e sceneggiatura: Sylvester Stallone; fotografia: Clark Mathis; montaggio: Sean Albertson; musica: Bill Conti; interpreti: Sylvester Stallone (Rocky Balboa), Burt Young (Paulie), Milo Ventimiglia (Rocky Balboa Jr.), Geraldine Hughes (Marie), Antonio Tarver (Mason ’The LIne’ Dixon), James Francis Kelly (Steps), Tony Burton (Duke), Henry G. Sanders (Martin); produzione: Irwin Winkler per la Metro Goldwyn Mayer, Columbia Pictures; distribuzione: 20th Century Fox; origine: Usa, 2006; durata: 105’; web info: Sito ufficiale
