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Naples ’44

Pubblicato il 15 dicembre 2016 da Alessandro Izzi
VOTO:


Naples '44

Il diario di Norman Lewis, edito in Italia da Adelphi è probabilmente uno dei più bei diari di guerra in assoluto. Sicuramente uno dei più ricchi nel rendere non solo il senso di spaesamento del soldato mandato al fronte di guerra, ma anche la fascinazione per il paese che scopre e per le persone che incorniciano il suo percorso.
Straordinaria espressione dell’incontro con un’alterità che seduce e conquista più e meglio delle armi, che ti entra sottopelle e che comincia a dettare il tempo al tuo respiro, reso ancor più violento dalla guerra che ancora illumina di luce fosca ogni possibile sfondo.
Il soldato americano addetto ai rapporti con le popolazioni locali non si limita a sciorinare una mera successione di eventi, ma si fa attento scopritore di realtà, poeta insospettabile dei piccoli gesti, degli scorci desueti. Ha dalla sua la potenza evocativa del campo lungo e l’inaspettata forza dei dettagli più minuti e passa dall’uno all’altra con l’invidiabile abilità di narratore che sa sperdersi nel viaggio obbligato, ritrovando se stesso negli occhi dell’altro.
Ma il suo è anche un diario di disillusioni che racconta senza troppi infingimenti lo sconforto di chi si scopre giudicato dai superiori solo in virtù del colore degli occhi, di chi scopre di essere mandato in battaglia da comandanti che nel frattempo se la danno a gambe e poi non esitano ad affidargli altri incarichi quando decide che certe cose è meglio lasciarle al caso per evitare la presa di troppe scomode responsabilità.
Oltre a tutto questo, il diario è anche uno straordinario, commosso omaggio a Napoli, alle sue contraddizioni, alla sua bellezza, al suo essere più città mediorientale che europea, ai suoi vicoli e alle sue persone, alla sua indefessa professione dell’arte di arrangiarsi e alla straordinaria dignità che abita anche nella cleptomania che sembra un male contagioso.
Non stupisce che questo materiale così vibrante abbia interessato tanto un regista partenopeo come Patierno. Non stupisce che questa messe di materiali così animati e mossi, così pieni di calda umanità, così capaci di restituire l’orrore per la guerra e la pietà per le persone lo abbiano spinto nella difficile impresa di trarne un film.
Il suo non è, però, un adattamento tradizionale.
Patierno si mette davanti alla pagina scritta con la pazienza certosina di chi cerca tra le righe prima di tutto subitanee illuminazioni. E taglia e cuce tra le pagine quei passaggi che meglio si prestano a rendere tutta la poesia di un incontro che alle volte è quasi scontro.
Poi intorno a queste parole, che in originale sono recitate da Benedict Cumberbatch (Giannini presterà voce all’edizione italiana), compone un intrigante poema audiovisivo costituito per la maggior parte di materiali d’archivio e per il resto di poche sequenze di alto valore evocativo che raccontano e sembrano raccontare un viaggio a Napoli dello stesso soldato che, tornando, racconta.
Passato e presente si mischiano così senza soluzione di continuità in un flusso di coscienza che accetta al suo interno anche pagine di cinema di finzione, frammenti di film, nella consapevolezza, forse, di quanto la memoria collettiva ne sia imbevuta e di quanto, in fondo, esse vadano a depositarsi anche nella memoria dei testimoni ancora vivi, influenzandola e un poco modificandola.
Come tutti i poemi sinfonici, anche Naples ’44 ha una struttura musicale a tratti riconoscibile. Comincia con un prologo sui soldati mandati al fronte che ha toni di epica sommessa, per nulla celebrativa e anzi attenta a rendere l’orrore della guerra senza colorarsi troppo di politica. Poi diventa in corso d’opera una suite mossa e animata di momenti inanellati secondo un principio di varietà dinamiche in alcuni momenti anche assai efficace. Si va così dagli allegri moderati che raccontano del più fido collaboratore di Lewis, tal Latullo che, per lavoro e poche lire, interpretava ai funerali un fantomatico zio di Roma, ai larghi che dedicano parole commosse alla piaga della prostituzione, dagli allegri che raccontano la fede tutta napoletana nei miracoli impossibili, agli adagi lividi come quello che racconta la definitiva perdita d’innocenza del narratore di fronte alla visione delle cinque bambine cieche piangenti che chiedono la carità al ristorante senza che nessuno le noti.
Funziona Naples ’44 che non è mera illustrazione delle parole del diario. Piuttosto la musica (organizzata e composta da Andrea Guerra con un orecchio ai capolavori di Resnais) e l’immagine animano un inesausto contrappunto con la parola, la scavano, a volte la contraddicono in cerca di un principio di armonia che permetta al tutto di diventare qualcosa di più che una mera somma di ingredienti.
Francesco Patierno si conferma, quindi, autore capace di battere strade meno frequentate del nostro cinema. E ci lascia con un film ricco e stratificato, denso e da studiare che è importante in un panorama contemporaneo come il nostro così incline al facile oblio e alla memoria troppo breve.


CAST & CREDITS

(Naples ’44) Regia: Francesco Patierno; sceneggiatura: Francesco Patierno; fotografia: Giovanni Troilo; montaggio: Maria Fantastica Valmori; musica: Andrea Guerra; voce narrante: Benedict Cumberbatch; produzione: Dazzle Communication, Rai Cinema; origine: Italia, 2016; durata: 83’


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