The Birth of a Nation

Chiariamolo fin da subito: The Birth of a Nation di Nate Parker, attore, regista e sceneggiatore statunitense, non è un remake dell’omonimo caposaldo della storia del cinema, firmato da David W. Griffith. Semmai ne copia il titolo in maniera celebrativa, un pò giocosa e assolutamente referenziale.
The Birth of a Nation di Nate Parker è, prima di tutto, un film storico (è ispirato alla vera storia dello schiavo nero Nat Turner, che si ribellò ai padroni bianchi e guidò una rivolta finita nel sangue, in Virginia, nel 1831, interpretato dallo stesso Parker con una dedizione e una cura maniacale da lasciare a bocca aperta), che ridefinisce con crudele realismo la condizione di vita disumana degli schiavi neri nelle piantagioni di cotone del sud America, violentati nello spirito e nel corpo, ridimensionati ad animali da compagnia, attrezzi da lavoro, perfino regali di nozze; Parker si immedesima nel suo alter ego, trasformandolo ben presto in un personaggio ambiguo e in evidente difficoltà intellettuale di fronte alle sevizie riservate ai suoi fratelli neri da parte dei padroni, nonostante l’istruzione religiosa ricevuta fin da bambino (evento più unico che raro per uno del suo “ceto”), lo sproni a riporre eterna fiducia in Dio: con una fede sempre più messa alla prova da una realtà terrifiante e annichilente, il mite Turner verrà corrotto dalla sete di vendetta, rinascendo (dalle stesse acque in cui battezza un uomo bianco di chiesa scomunicato per i suoi peccati) non come guida spirituale, ma come condottiero invasato, unicamente guidato dal desiderio di rivalsa.
A differenza di quanto accade in 12 anni schiavo, diretto da Steve McQueen nel 2013 e vincitore di tre premi Oscar (tra cui quello per il Miglior Film), Nat Turner non ottiene la libertà contanto sulla forza di volontà e la fede: il film di McQueen (ambientato inizialmente dieci anni dopo) irradiava un senso di speranza assoluto, narrava una storia nera, ma romantica, con lieto fine annesso; The Birth of a Nation è, d’altro canto, un film violento o, meglio ancora, un film sulla violenza e la sua irriversibile riproduzione, un film che rinuncia al buonismo, al moralismo e predilige il sangue, le torture e il disprezzo in funzione di un’analisi sulla decadenza ancestrale morale e spirituale dell’uomo (iconico il testo della canzone che allude ai riferiferimenti biblici dell’albero e della mela): la violenza potrà, a volte, anche essere necessaria, ma al di là di un flebile e momentaneo appagamento, non farà altro che generare altra violenza, in una discesa senza fine verso l’abisso, trasformando l’essere umano in qualcosa di inumano, privo di pietà, di amore e di empatia (quando a Nat Turner viene chiesto quali sono le sue ultime parole prima che il boia lo impicchi, egli risponde solo con un laconico “Sono pronto”).
Ad arricchire il suo agghiacciante affresco storico, Parker si sollazza con alcune scelte stilistiche e una manciata di simbolismi pertinenti e iconici, giocando spesso con le tonalità di bianco e nero, come l’eclisse che indica che il momento della rivolta del nero nei confronti del bianco è finalmente giunta o Turner e Hark (Colman Domingo) sporchi di polvere bianca durante lo scontro finale, in un gioco cromatico a indicare la perdita dell’individualità, perchè non esistono più uomini neri e uomini bianchi, ma solo uomini colmi d’ira che si uccidono a vicenda.
The Birth of a Nation è un’opera complessa e stratificata, pulsante di un’ambiguità (Turner non è l’unico) che costringe lo spettatore a immergersi con attenzione in un contesto storico nient’affatto fittizio, ma che ancora oggi, a più di un secolo di distanza, ci lascia inquieti: l’uomo è un animale crudele e quando un animale viene costretto da altri con le spalle al muro, questi troverà la forza per riconquistare la propria libertà. E il sangue e le lacrime inzupperanno la terra.
Citando il grande Alan Moore: “Non è mai esistito un Olimpo che non sia sorto su resti umani”.
(The birth of a nation); Regia: Nate Parker; sceneggiatura: Nate Parker; fotografia: Elliot Davis; montaggio: Steven Rosenblum; musica: Henry Jackman; interpreti: Nate Parker, Armie Hammer, Aja Naomi King, Jackie Earle Haley, Penelope Ann Miller, Gabrielle Union, Aunjanue Ellis, Colman Domingo, Roger Guenveur Smith, Mark Boone Junior, Dwight Henry, Esther Scott; produzione: Bron Studios, Mandalay Pictures, Phantom Four, Tiny Giant Productions; distribuzione: 20th Century Fox; origine: U.S.A., 2016; durata: 119’
