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Quello che so di lei

Pubblicato il 1 giugno 2017 da Fabiana Sargentini
VOTO:


Quello che so di lei

Non tutti coloro che masticano un po’ la lingua francese sono a conoscenza del fatto che sage-femme voglia dire ostetrica. La traduzione letterale, staccando le due parole, tenendole separate, sarebbe donna saggia: che sia una donna saggia ad aiutare una donna in difficoltà, una partoriente, a portare alla luce un bambino mi sembra una espressione bellissima. L’ostetrica saggia, qui magnificamente interpretata da Catherine Frot, assume su di sé tutte queste nascite, tutte queste emozioni quotidiane, tutta quest’esperienza di vita, della formazione stessa della vita, dal primo momento in cui comincia. Ma la protagonista di questo film è fragile, nella sua forza, è una madre sola con un figlio meraviglioso ventenne che studia medicina e che ora aspetta un bambino da una coetanea, studentessa anche lei, ma ha deciso di lasciare la facoltà e diventare come sua madre ostetrico. Questo è solo il prologo, non è il centro della storia del film, non ne è che la cornice. La tranquilla, quieta, organizzata routine di Claire viene sconvolta dall’arrivo nella sua vita di una donna del passato, Béatrice, ex amante del padre Antoine (interpretata da Catherine Deneuve), che piomba a bomba chiedendo notizie dell’uomo, abbandonato una trentina di anni prima, e dicendo di avere un cancro al cervello. La nostra protagonista dopo una decina di minuti, forse anche venti, in presenza della donna, ancora bella e selvaggia, sedute al tavolo di una brasserie qualunque, dopo averle lasciato ordinare un pasto pieno di pietanze grasse pronte a nutrire il suo male oscuro, le svela il suo più profondo dolore, che solitamente tiene segreto, chiuso nella cassaforte del cuore: suo padre, Antoine, l’amante di Béatrice, quando lei lo lasciò, poco dopo il suo abbandono, si tolse la vita. Per lei, o almeno la figlia pensa e ha sempre pensato così, per colpa di leo. Come può una figlia accettare una cosa del genere, come può continuare a mantenere un rapporto, ad accettare i suoi doni, sostenere la presenza della causa della morte del suo amato padre? Non può, dunque la allontana. Ma da femmina saggia quale è, donna di bontà profonda e empatica a tutti gli effetti con gli esseri umani in toto, non può che desiderare di ritornare in contatto con Béatrice ed aiutarla. Gli sviluppi della storia sono poi imprevedibili, vanno per la loro strada ma il racconto del legame tra queste due donne è particolarmente riuscito. Sicuramente gran parte è dovuto alla bravura delle interpreti, ma il merito va anche ai dialoghi del film, tra l’altro scritto e diretto da un uomo, Martin Provost. La trama si dipana lineare, senza sbandate, senza sconvolgimenti, dritta per la sua, inevitabile strada. Le diramazioni sono nei dettagli eccentrici, in qualche battuta, nei duetti di recitazione. Una scena esilarante: quando Béatrice incontra per la prima volta il figlio di Claire, Simon (Quentin Dolmaire, attore stupendo, grande protagonista del bellissimo film di Desplechin, "Trois souvenirs de ma jeunesse") che è la goccia d’acqua di Antoine, per salutarlo, come fosse davvero il perduto amore, lo bacia lungamente sulla bocca. Presenza maschile che lascia un segno il camionista spirito libero che intreccia una relazione con Claire, un Olivier Gourmet, caro ai fratelli Dardenne, per una volta in un ruolo positivo a tutto tondo.


CAST & CREDITS

(Sage-femme); Regia: Martin Provost; sceneggiatura: Martin Provost; fotografia: Yves Cape; montaggio: Albertine Lastera; musica: Grégoire Hetzel; interpreti: Catherine Frot, Catherine Deneuve, Olivier Gourmet, Quentin Dolmaire, Mylène Demongeot; produzione: Olivier Delbosc; origine: Francia, Belgio, 2017; durata: 117’


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