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SEVEN SWORDS

Pubblicato il 12 settembre 2005 da Salvatore Salviano Miceli


SEVEN SWORDS

La messa al bando delle arti marziali da parte della nuova dinastia Qing, un villaggio che sta per essere raso al suolo da un feroce quanto avido ufficiale dell’esercito e la conseguente epica avventura dei sette guerrieri chiamati in aiuto, e delle loro incredibili e formidabili spade. Tutto questo, in breve, è Qi jian (Seven Swords) di Tsui Hark, film che aprirà la 62° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Sceglie la Cina del diciassettesimo secolo, più precisamente degli inizi del 1660, Hark per riallacciarsi alla cultura Wuxia, da sempre amata ed esplorata sin da Die Bian (Butterfly Murders) del 1979, suo lungometraggio d’esordio. Lo fa, questa volta, basandosi sul romanzo Seven Swords of Mount Heaven di Liang Yu-Shen. Muovendosi tra frenetici duelli e improbabili triangoli amorosi il regista di Hong-Kong ci regala un’opera non priva di interesse ma forse un po’ prigioniera della sua elevata spettacolarità. Particolari ed affascinanti, infatti, risultano le sequenze dei combattimenti, in cui la macchina da presa mostra un perfetto impeto nel catturare le evoluzioni acrobatiche dei guerrieri, senza però nascondere mai le reali forze motrici dell’azione: le spade. Nell’atto del brandirle, Hark vede una comunione tra uomo e materia e le sette armi, indiscutibili protagoniste del film, sono custodi e simboli, ognuna, di un diverso insegnamento etico. Un precetto morale in grado di indirizzare ed affinare la ricerca spirituale dell’uomo che le impugna. È un volgersi indietro ai valori ed alle ideologie più pure della cultura Wuxia, un tentativo di rinnovamento del genere cappa e spada fondato su un ritorno alla autenticità dei combattimenti. E la bravura di Hark sta proprio nel riuscire a rendere fin troppo realistici i movimenti dei suoi protagonisti, anche attraverso un uso delicato della luce, creando un gioco di oscurità che, contemporaneamente, cela ed esalta le azioni dei personaggi. Girato in Cina, particolare cura, inoltre, è stata messa nella scelta dei luoghi. A beneficiarne è, soprattutto, la fotografia di Keung Kwok-Man, in alcuni momenti davvero notevole. Ciò che lascia in parte perplessi, invece, è la presenza di alcuni spunti privi del necessario approfondimento, che diventano, così, lunghe pause narrative all’interno di un’opera dalla durata non indifferente. È il caso dell’amore che coinvolge tre dei principali protagonisti; un triangolo appena accennato che probabilmente, per il solo fatto di essere stato inserito, meriterebbe una maggiore analisi. Nel complesso, il film di Hark risulta particolarmente apprezzabile per soluzioni tecniche e formali. Nonostante questo, però, l’opera non riesce ad emozionare del tutto.

Cast & Credits

Regia: Tsui Hark; sceneggiatura: Tsui Hark, Cheung Chi-sing, Chun Tin-nam; fotografia: Keung Kwok-Man; montaggio: Angie Lam; musica: Kenji Kawai; interpreti: Donnie Yen, Leon Lai, Charlie Young, Sun Honglei, Lu Yi, Kim So Yeun, Lau Kar-Leung; produzione: Tsui Hark per Film Workshop; distribuzione internazionale: Mandarin Films Distribution, Fortissimo Films; distribuzione Italiana: Medusa

(Settembre 2005)

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