X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Sherlock Holmes - Gioco di ombre

Pubblicato il 25 dicembre 2011 da Simone Isola
VOTO:


Sherlock Holmes - Gioco di ombre

“Caso riaperto…”. Questa semplice battuta in chiusura di Sherlock Holmes nel 2009 era l’evidente premessa di un sequel. Anche la moderna rilettura del celebre detective londinese cucinata dalla Warner Bros. si è orientata dunque verso la serialità; un’operazione di successo sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello economico, e che ha ridefinito i contorni del personaggio ideato da Conan Doyle per l’immaginario delle nuove generazioni. Affidato al volto canagliesco di Robert Downey jr., il detective londinese ha infatti rinnovato la sua immagine polverosa: via il deerstalker, il cappellino da cacciatore, per far posto ad abiti da decadente dandy londinese, acuto quanto eccentrico, dedito alla lotta a mani nude e alle azioni più spericolate. Nuova linfa anche al dr. Watson, rigenerato dall’interpretazione di Jude Law, con caratteri di spiccata individualità: non è un semplice assistente o biografo e spesso si ribella alle incursioni nella sua vita privata operate da Holmes.

Se nel primo episodio è stata prestata molta attenzione nel presentare le eccentricità dei personaggi, in Gioco di ombre si viene subito lanciati nell’azione, che è assai più intricata ed esplosiva. La sfida si pone come minaccia da parte di un temibile avversario, il prof. James Moriarty. Una mente criminale sopraffina, per nulla seconda a quella di Holmes. In giro per il mondo i titoli dei quotidiani impazzano di notizie: uno scandalo investe un magnate indiano dell’industria del cotone; uno spacciatore di oppio cinese muore per apparente overdose; in Austria esplodono bombe, ecc. Nessuno vede la connessione tra questi eventi, tranne Holmes che ha individuato proprio Moriarty al centro di questa intricata tela: la capacità di manipolazione è tale da mettere in crisi la pace nel mondo Occidentale. Holmes cerca in tutti i modi di fermarlo, ma qui c’è la sostanziale novità rispetto al precedente episodio: non tutte le liti e le deduzioni si risolvono esattamente come immaginate dall’investigatore. Holmes e Moriarty lavorano infatti allo stesso livello intellettuale; si crea così un effetto specchio tra la strategia dell’uno e la controstrategia dell’altro, ben espressa dalla finale partita a scacchi sul bordo della cascata. La sceneggiatura segue questo schema creando continui colpi di scena, punti di vista che si intrecciano e si sovrappongono tra loro. Watson e Sim (Noomi Rapace), una giovane zingara coinvolta nell’intrigo, uniscono alla deduzione una spiccata intraprendenza nell’azione e nella lotta. L’alta complessità dell’intreccio rende oscura la prima parte della storia, che si chiarisce grazie ad una serie di elementi lanciati furtivamente allo spettatore nei minuti finali. Le novità non sono finite: il rapporto di velata omosessualità tra i due protagonisti viene quasi esplicitato in una scena durante la quale Holmes, travestito da donna, entra nella carrozza del treno dove Watson sta trascorrendo la prima notte di nozze con la neosposa. E non solo: con un colpo Holmes fa volare via dal treno in corsa la giovane donna, come a volersi sostituire a lei. Dettagli che dimostrano l’intelligenza dell’operazione, l’attenzione a inserire elementi d’interesse nel bel mezzo di sofisticate scene d’azione.

A comporre questo mosaico è Guy Ritche, regista pop per eccellenza, con uno stile vistoso e abbagliante, fatto per sorprendere, stupire: le inquadrature si susseguono in frenetiche accelerazioni, rallenti, continui giochi di montaggio. A lui è stato brillantemente affidato il compito di restituire al personaggio la sua natura popolare, quella di intrattenimento immediato e fisico, adattandolo ai gusti del pubblico d’oggi. Emblematica in tal senso le scene di combattimento, dove il regista applica il sistema deduttivo di Holmes all’action: vediamo al rallenti studiare i punti deboli dell’avversari, valutare i dettagli, per poi in ripresa accelerata portare inesorabilmente i colpi, che chiaramente vanno a segno come ricostruito logicamente. In realtà nella fase action c’è pochissimo di compassato, di "inglese" e di "Holmes". Ma è utile artificio, appunto. Holmes vira verso un’estetica post-moderna a metà tra l’action movie e il fumetto; la deduzione oggi non può essere espressa solo con lo sguardo, ma con il ritmo, il susseguirsi repentino di ragionamenti logici. Ritche riesce così ad unire nel suo stile rapido e convulso la classica ambientazione cupamente londinese fine Ottocento con le arti apprese nella frequentazione dei linguaggi pubblicitari. Meno pipa e più cazzotti, è lecito storcere il naso? Tradimento o rilettura? Difficile dirlo. Una cosa però è certa: chi è in cerca di un cinema d’evasione intelligente e autenticamente popolare non può che rimanere soddisfatto. Le commediole natalizie fanno bene a tremare…


CAST & CREDITS

(Sherlock Holmes: A Game of Shadows) Regia: Guy Ritchie; sceneggiatura: Kieran Mulroney, Michele Mulroney; fotografia: Philippe Rousselot; montaggio: James Herbert; musica: Hans Zimmer; interpreti: Robert Downey Jr. (Sherlock Holmes), Jude Law (dr. John Watson), Noomi Rapace (Sim), Jared Harris (prof. James Moriarty), Stephen Fry (Mycroft Holmes), Kelly Reilly (Mary Morstan), Rachel McAdams (Irene Adler); produzione: Silver Pictures, Village Roadshow Pictures; distribuzione: Warner Bros Pictures; origine: Regno Unito, USA, Australia, 2011; durata: 129 min.


Enregistrer au format PDF