X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



SIDEWAYS

Pubblicato il 17 febbraio 2005 da Mazzino Montinari


SIDEWAYS

Alexander Payne è uno dei registi che meglio sa raccontare l’America di oggi. E’ certamente più abile nel narrare e costruire situazioni e dialoghi, mentre gli manca il talento visionario di altri registi suoi coetanei. E a differenza di un maestro come Robert Altman, non realizza rappresentazioni corali di una realtà frantumata in una miriade di punti di vista tra loro difficilmente riconciliabili. Nonostante tutto, ripetiamo, Payne è un ottimo narratore. Lo avevamo già capito con i suoi precedenti film, Election e About Schmidt. Sideways non fa altro che confermare il talento narrativo del quarantaquattrenne regista di Omaha.
La notizia vera e propria, allora, è che Sideways ha sorprendentemente fatto incetta di premi e riconoscimenti ricalcando in un certo senso le orme del precedente Lost in translation di Sofia Coppola. In entrambi i casi abbiamo a che fare con due film “indipendenti” (prima o poi bisognerà mettersi d’accordo sull’autentico significato di questa parola), adatti più a conquistare apprezzamenti da parte di una critica raffinata piuttosto che le notti sfarzose degli Oscar. Probabilmente è in atto una sorta di “par conditio” che vuole accanto al colossal (Il signore degli anelli l’anno scorso, The aviator questa stagione), una pellicola a “misura d’uomo”, o che vuole accanto al grande regista, l’autore emergente.
Detto ciò, la cosa che più conta è l’opera. E Sideways è un film che diverte e sa far riflettere senza prendersi troppo sul serio. Una dote che va riconosciuta a Payne, è proprio la “semplicità virtuosa”, la leggerezza densa di significati.
La storia è quella di Miles (Paul Giamatti, il protagonista di American Splendor) e Jack (Thomas Haden Church), due prototipi della America contemporanea, non tanto per classe sociale e cultura, quanto per quel senso di vertigine provato di fronte alla propria vita, al che fare oggi.
E a pensarci bene, questo senso di vertigine è lo stesso che provava anche il pensionato e vedovo Warren R. Schmidt (Jack Nicholson) depresso e talvolta rabbioso per un passato all’apparenza privo di senso e, contemporaneamente, spaesato nel guidare il suo camper in cerca di una direzione certa. E ancora, lo stesso si potrebbe dire dei protagonisti di Lost in translation con Bob Harris (Bill Murray) e Charlotte (Scarlett Johansson) che vagano insonni per Tokyo senza meta tra un locale e l’altro, guardando l’uno il proprio passato, l’altra il futuro, ma entrambi accomunati dal senso di vertigine per il presente.
Dunque, Jack e Miles sono amici di vecchia data. Il primo è un attore da quattro soldi e donnaiolo che prima di sposarsi ha deciso di passare una settimana di bagordi con il suo amico. Miles, a differenza di Jack, ha un matrimonio alle spalle, il cui fallimento lo ha gettato in uno stato di profonda depressione. In più, è un aspirante scrittore che aspetta da un momento all’altro la telefonata dell’editore. Ma quella telefonata non sembra arrivare e lo stato di depressione si fa sempre maggiore.
Visti in questo modo, i due amici non sembrerebbero la coppia ideale per un addio al celibato. Gli stati d’animo diversi, però, non impediscono a Jack e Miles di cominciare un tour per i vigneti a degustare i pregiati vini californiani. Anche in questo i due sono diversi. Per Jack il vino si beve tutto di un sorso, senza stare a gingillarsi con inutili movimenti di mano e gargarismi. Lui deve “sparare le ultime cartucce”, i suoi sono i bicchieri della staffa. E lo stesso vale per le donne che abborda e tenta di portare a letto, mentre l’amico è in preda a una paralisi esistenziale. Infatti, per Miles le cose si pongono in modo diverso. Il vino ha una vita propria e va rispettata, conosciuta, esaltata. Una relazione sentimentale è qualcosa che deve coincidere con la perfezione. Per Jack tutto va esternato, per Miles tutto rimane dentro, come se atto e potenza fossero due avversari che mai si stringono la mano.
Miles e Jack, dunque, potrebbero essere il completamento l’uno dell’altro, ma questa sarebbe una soluzione semplicistica, atta a eliminare le contraddizioni che sia in piccolo che in grande rendono l’America un Paese vasto e irriducibile a schemi. Nel vagare per le strade americane, come in quelle dell’esistenza, non c’è lieto fine, nel senso che mai si arriva a una fine vera e propria: il presente è una parentesi tra ciò che sta per accadere e ciò che è già alle spalle. E’ un baratro di fronte al quale si prova un senso di vertigine.

[febbraio 2005]

Titolo originale: Sideways; regia: Alexander Payne; sceneggiatura: Alexander Payne, Jim Taylor, da un romanzo di Rex Pickett; fotografia: Phedon Papamichael; montaggio: Kevin Tent; musica: Rolfe Kent; interpreti: Paul Giamatti, Thomas Haden Church, Virginia Madsen, Sandra Oh; produzione: Fox Searchlight Pictures, Sideways Production; distribuzione: Twentieth Century Fox; origine: Usa 2004.

Enregistrer au format PDF