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Slow Food Story

Pubblicato il 30 maggio 2013 da Francesca Dimasi
VOTO:


Slow Food Story

Slow Food Story non è un film sul cibo, bensì un film sull’immagine del cibo, un’immagine cui ci hanno ampiamente abituati programmi televisivi di varia specie che a tutte le ore del giorno invadono i palinsesti di buona parte dei canali tv. Si va dagli innocui consigli alle casalinghe di tutta Italia, alle ricette che vanno dal gourmet fino ai piatti pronti in pochi minuti, passando per le sfide da reality che spesso rimangono sulla soglia dello splatter. L’idea del cibo nel contesto di questi fenomeni ha a che vedere più con la vista che non col gusto, e non nel senso più genuino del termine (vale a dire come esperienza multisensoriale che coinvolge gli altri sensi a ridosso del gusto), bensì nel senso di una bulimia scopica, di un proliferare incontrollato di immagini sul cibo e del cibo, che hanno oramai poco a che vedere con l’esperienza del cibo propriamente detta. Piuttosto attengono alla sua immagine pretestuosa, motivo cioè di gare sanguinarie, competizioni da sport estremo, scene di sadomasochismo psicologico e di terrorismo estetico.

Di tutto questo, Slow Food Story fa volentieri a meno, definendosi come narrazione composta intorno a un’esperienza, di cui il cibo è sì pretesto, ma di una rivoluzione culturale. Il film è il casto ricordo di un ragazzo (il regista), di quel mondo che tra impegno politico e goliardiche serate tra amici allietate da buon vino e ottimo cibo, diedero corpo allo spirito rivoluzionario di un’epoca. Sono gli anni della rivolta femminista, del terrorismo strumentale, dei grandi comizi di piazza, delle radio libere, de Il Manifesto, in cui pietanze e profumi locali trovano spazio su tavolate di idee, di personaggi eterogenei, tra cui uno spicca in particolar modo: Carlo Petrini. Le immagini di repertorio, che come un collage di foto ricordo si susseguono tra memoria storica e privata, tra cambiamenti epocali e scandali nostrani (quello del vino al metanolo negli anni ’80 ad esempio), il tutto intervallato dalla piccola storia di un gruppo di amici capitanati da Petrini, che annusando l’avvento di mutamenti globali e livellamenti culturali, decide di preservare uno dei fondamenti identitario di ogni civiltà: il cibo appunto. Profetizzando l’omologazione dei costumi gastronomici e con essi l’appiattimento delle culture local tout court, l’allegra brigata di Bra, inizia una crociata contro la marcia inquietante dei Fast Food, fino a riscoprire, non solo i tesori d’Italia ma quelli del mondo intero. In tal senso Slow Food Story è anche un film di resistenza, lenta, paziente contro ogni idea del marchio come prodotto, a favore invece di una riabilitazione del prodotto stesso, e del legame che intercorre tra il prodotto grastronomico e la sua tradizione, la sua specificità simbolica e ambientale, il duro lavoro che sottende alla sua produzione.

I vivaci intermezzi animati, nel contesto di un’opera documentaristica, esaltano quel valore di memoria, quell’atmosfera intima dei giorni del cambiamento... Lo Slow Food non è solo cultura che risarcisce un rituale prezioso della sua temporalità, quanto la riaffermazione dei valori che quella temporalità veicola: convivialità, piacere, degustazione, scambio, esperienza estetica, acquisizione dei propri (cioè della propria civiltà) e degli altrui (delle civiltà altre) valori di gusto, e dunque identitari, valori lontani da ogni pornografia culinaria.


CAST & CREDITS

(Slow Food Story) Regia: Stefano Sardo; sceneggiatura: Stefano Sardo; fotografia: Giovanni Giommi; montaggio: Stefano Cravero; musica:Valerio Vigliar ; produzione: Indigo Film, Tico Film; distribuzione: Tucker Film, Indigo Film; origine: Italia; durata: 73’.


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