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SOGNI DI CUOIO

Pubblicato il 18 settembre 2004 da Edoardo Zaccagnini


SOGNI DI CUOIO

Nel rapporto col calcio, il cinema si è sempre mostrato amante scarso, almeno in Italia, pigro e svogliato. La poesia, la potenza e l’oggettiva bellezza di questo novecentesco amante domenicale sono sempre annegate di fronte a macchine da presa che hanno puntato sul ralenti, costruito ritratti bugiardi e trasformato Pelè in Buffalo Bill. Meglio L’allenatore nel pallone, non solo per lo straordinario ritmo incalzante della narrazione, e neppure per l’amato talento comico del Banfi nazionale a cui un festival importante potrebbe nel futuro regalare una retrospettiva d’omaggio. D’accordo il trash. Ma L’allenatore nel pallone è costruito sui meccanismi che regolavano il rapporto socièta sportive-tifosi negli effimeri e antideologici anni Ottanta. Li conosce bene ed è un fedele documento di Tic e tendenze. Il brasile canterino, il calcio mercato di giacche sudate, i colpi estivi, la miseria degli ultras. E’ un ponte utile, una testimonianza involontaria della genesi della follia. E un classico, naturalmente, del cinema italiano. Appare un Biscardi non ancora luciferino, quasi passabile. Col germe già incubato ma ancora invisibile. Poi Ciotti è morto, Ameri è morto e tra un po’ esce un film sul grande Torino. A dir la verità ne sono morti pure altri, come Viola (Beppe), e Brera, aggiungerà qualcuno. Io non nutro speranze e a memoria salvo Ultimo minuto di Pupi Avati , un documentario dal titolo La chimera de los eroes, proiettato l’ anno scorso a Venezia (non uscito in Italia), e qualche passo lirico e nascosto di Ken Loach. Va beh, pure l’ inizio di Santa Maradona finchè non spunta Accorsi con l’amico. Non so calcolare gli effetti del nuovo irreality show di Italia1 sul calcio, ma a naso non credo sarà un flop. Perché il calcio oggi lo studia la sociologia, non certo come sport, e come sport alle olimpiadi fa una figura penosa. Sembra dire “non cercate tra gli sport colui che è diventato altro”. Rinuncia alla sua natura e si concede alla corrente incontrastabile del mercato. Vive dovunque ma al villaggio olimpico non riesce a stare, e la medaglia semmai la pigliano i nomi acerbi per farsi mercato e pubblicità l’anno dopo. Ma non credo neppure che il mancato amplesso tra cinema e pallone nasca dal rifiuto dell’arte delle immagini di farsi sedurre dalle emozioni del campo e della folla. Non lo credo perché la poesia, ad esempio, e la pittura certi paletti non li mettono e le emozioni che trasmettono sono di prima fascia. Credo piuttosto che manchi il film che faccia cambiare il rapporto. D’inchiesta, poetico, di costume, celebrativo, un film qualunque ma bello. Che so un Toro scatenato del pallone. Forse la verità è che il calcio è cinema da solo. Un cinema verità che si fa da sé. Ora c’è il documentario che sta inventando un rapporto nuovo. Il gioco riesce perché il reportage è di moda. Sgranato, trucido come certi jeans, si attacca alle storie, ti fa entrare dove non potevi e sazia la tua sete di vouyerismo. E visto che il calcio pare sia il nuovo olimpo e i calciatori più belli e ricchi degli dei, il calcio è un mito inventato, sotto il quale si nascondono un sacco di storie crude e amare, che in una logica di mercato come quello nostro, vengono riciclate, musicate, rallentate e proposte un po’ alla buona. Alcune sono orrende, altre interessanti. Sogni di cuoio non è male perché oltre ad un sapiente lavoro di organizazione produttiva, di scrittura e di montaggio, ha la fortuna di farsi su un materiale consistente: quello che associa, lavoro, solidarietà, calcio e differenza culturale. Potrebbe insistere sulla lacrima ma non lo fa perché Arcopinto non lavora in questo modo ed è persona seria. I sogni di cuoio si rivelano infranti ma credibili, i volti dicono e le parole interessano. Rimane il dubbio se viene prima l’uovo o la gallina. Se è il diabolico potere del calcio o se è il racconto degli autori a procurare la reazione del tifoso-spettatore. L’autore di Sfide Francesco Miccichè, figlio del compianto Lino, parlando del successo della sua trasmissione sosteneva tempo fa: “Soltanto col calcio si possono ottenere certi ascolti, e noi non sappiamo se siamo stati bravi o meno.” Un’ultima cosa: quando il film finisce non andate via. C’è Mario Kempes in campo lungo che dribbla i difensori dell’Olanda. Ha i capelli lunghi e nerissimi, danza col pallone davanti ai generali, e ad un paese che lo guarda. Ti colpisce.

[settembre 2004]

regia: César Meneghetti, Elisabetta Pandimiglio interpreti: Mario Kempes, Oscar Colombo, Guillerme Galliardi, Leonardo Peres, produzione: Gianluca Arcopinto, Andrea Occhipinti, Roberto Caracuta, distribuzione: Pablo, origine: Italia 2004, durata: 72’

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