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Solanas: La rassegnazione è la più grande corruzione dell’uomo

Pubblicato il 22 giugno 2007 da Simone Isola


Solanas: La rassegnazione è la più grande corruzione dell'uomo

Fernando Solanas ha l’aspetto di un vecchio saggio, forte dell’esperienza e della conoscenza. Colpisce la forza delle sue riflessioni, la fermezza delle sue idee e dei suoi propositi. E mentre la Fandango distribuisce in Italia il suo ultimo documentario, Diario del saccheggio, è opportuno fare un po’ di luce sulla sua figura.
L’America latina degli anni Sessanta è un vulcano di movimenti e di povertà, che si mescolano indistintamente dalla grande città alle pianure assolate. La dittatura militare, salita al potere nel 1966, con il generale Onganía, scioglie il Parlamento e la Corte suprema di giustizia e proibisce ogni attività politica e sindacale. Nascono diverse organizzazioni di resistenza, come la Gioventù peronista e i Montoneros (provenienti dall’Azione cattolica), e di guerriglia, come l’Esercito rivoluzionario del popolo (Erp) e le Forze armate rivoluzionarie (Far). Solanas, brillante studioso di teatro e musica, aderisce ai movimenti antagonisti, e gira, insieme a Octavio Getino, L’ora dei forni, celebre documentario sulla realtà socio-politica argentina. La rocambolesca lavorazione del film, finito di montare in Italia grazie al contributo di Valentino Orsini, ne testimonia il carattere militante, non disgiunto da una riflessione mediata da uno sguardo storico lucido e razionale.
La dittatura militare condanna all’esilio e all’attività clandestina Solanas, che torna nella sua terra solo nel 1984; l’anno successivo realizza il suo primo film di finzione, Tangos, Premio della giuria a Venezia. In una Parigi multietnica un gruppo di artisti argentini in esilio ripensa nostalgicamente alla proprio passato; un film stupendo dove, a ritmo di danza, viene affrontato il dramma della solitudine e dell’integrazione culturale. Nella finzione il cinema di Solanas non perde in lucidità anzi, mediato dall’immagine del ballo, dall’arte pura insomma, acquista una chiave dialettica che evita le facili sentenze e le verità imprescindibili. Sur, del 1988, è un viaggio onirico tra i vivi e i morti, in una società argentina frantumata dalle dittature e persecuzioni, dove la fiamma dell’ideologia si stempera per lasciare spazio al ricordo, al passato. Tante sono le anime di questo film, simile all’Ora dei forni per la divisione in capitoli, e così distante da esso per una speranza non più convinta e radicale come nel 68’, ma condizionata dalle sofferenze e dai mali subiti.
Si chiude definitivamente una fase storica dell’Argentina ben precisa, quella delle persecuzioni e delle dittature militari, mentre una nuova minaccia sembra addensarsi all’orizzonte. Il neoliberismo inizia con i suoi tentacoli a demolire l’economia del Paese, portandolo al "genocidio sociale" che Solanas inizia a descrivere con Il viaggio del 1992. Film politico, che attacca frontalmente il Nuovo Ordine Internazionale, Menem e la sua politica economica liberista, fatta di privatizzazioni ad amici, speculazioni, sotto l’egida dell’FMI e dell’America. Anche qui la tesi è mediata dall’arte e dalla dialettica interna al film; sono dittature anche quei regimi democratici che sperperano ogni bene materiale e culturale del proprio paese, in nome dell’avidità e della speculazione. Per Il Viaggio, Solanas viene gambizzato da alcuni "sostenitori" di Menem. Lo ricordava sorridendoci a Venezia, durante un’intervista. Inizia allora a percepire l’Argentina di Menem un paese senza futuro, ed ha come un presagio dell’immane catastrofe che si sta per abbattere sul paese. Ecco allora la Buenos Aires cupa, fatiscente e perennemente battuta dalla pioggia de La nuvola (1998); la violenza della polizia scorre senza freno, non si ricevono più pensioni o stipendi, nelle strade tutto procede al contrario, le ruspe stanno per demolire il Teatro. Metafora altissima e all’epoca sottovalutata, di un’amministrazione che porta l’Argentina indietro nel tempo, all’epoca della dittatura; anche l’arte è in pericolo, e gli attori resistono strenuamente alla distruzione, in un mondo e in una cultura che non ha più bisogno di loro.
All’inizio del millennio il paese immaginario di Solanas rischia di tramutarsi in reale. Nel novembre 2001 vengono congelati i depositi bancari, centinaia di esercizi commerciali vengono distrutti, soppresse le libertà civili, il governo si mette in fuga. Un disastro colossale, che spinge il nostro autore al ritorno al documentario, realizzando una trilogia sul suo paese e sui motivi che lo hanno condotto a una crisi così profonda. Il primo capitolo, Diario del saccheggio, giunge ora nelle nostre sale con tre anni di colpevole ritardo. Ma non è mai troppo tardi per capire i meccanismi della storia, le dinamiche che ne condizionano le traiettorie e le vite degli umili. E tutte le teorie e le idee dell’autore passano sul campo, tra gli occhi della gente che soffre per colpe altrui, che cerca nella difficoltà di cooperare in solidarietà. Forse il cinema non basta per cambiare il mondo ma, come affermato da Solanas, "la rassegnazione è la più grande corruzione dell’uomo".


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