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Speciale Clint Eastwood: Bird

Pubblicato il 15 febbraio 2015 da Agostino Devastato


Speciale Clint Eastwood: Bird

Notte. È buio pesto e la pioggia non smette di cadere su questa New York in cui si aggira un uomo in preda ai suoi deliri alcolici, un uomo straordinariamente talentuoso, che suona il sassofono come lo avrebbe suonato Dio. Sembrano gli anni ’50 ma siamo nel 1988, precisamente sul set di Bird, il quattordicesimo film da regista di Clint Eastwood che, appassionato di Jazz, ha scelto come soggetto la vita tormentata e autodistruttiva del genio Charlie “Bird” Parker. Nella sterminata filmografia del regista Californiano Bird rappresenta uno dei suoi film più personali, uno di quei casi in cui si fa un film per “se stessi”, prima e dopo aver fatto un film “per loro”, per l’industria. Clint Eastwood, da autore perfettamente calato nel sistema Hollywoodiano è riuscito negli anni ’80 a ritagliarsi lo spazio necessario per realizzare questo straordinario affresco, su uno degli artisti da lui più amati.

Pioggia, dicevamo, notte e deliri, sono queste le dominanti di Bird. La vita del genio Charlie Parker è analizzata con tristezza e rassegnazione, è un film dolente, livido, pieno di parole biascicate e di stati allucinatori. Non è un classico Biopic, si tratta piuttosto di un affresco poetico sulla vita di Parker. La narrazione infatti procede in una discesa agli inferi, in cui Eastwood usa come appoggio i flashback sull’infanzia e sull’adolescenza del giovane Parker, per poter scendere sempre più in basso nelle viscere dei suoi tormenti. È quasi sempre notte, e la pioggia è una delle costanti del film. L’aspetto triste e doloroso della vita di Parker è messo sempre in primo piano, dalla morte della sua prima figlia alla disperazione che lo ha accompagnato fino alla fine.

L’occhio di Eastwood e la straordinaria interpretazione di un ancor giovane e semi sconosciuto Forest Whitaker, si adagiano sui tormenti di Bird, li sviscerano e li mettono in scena con straordinario realismo, forse esagerando, come notò a suo tempo Spike Lee che, infastidito dall’eccesso di pioggia e di scene notturne del film, criticò Eastwood per aver scelto solo il lato triste della vita di Charlie Parker. Probabilmente non aveva tutti torti Spike Lee, cantore della storia afroamericana, che nella sua carriera ha sempre nutrito il desiderio di dirigere lui un film sulla vita di Bird, ma nel 1988 il regista di Brooklyn era ancora alle prese con il suo primo capolavoro Do The Right Thing.
L’aspetto musicale in effetti è lasciato un po’ troppo sullo sfondo, e in questo Spike ci ha visto giusto. Solo l’amore per sua moglie Chan Richardson è raccontato con tenerezza, nelle scene con lei Bird è romantico ed innamorato, pur restando sempre un uomo pericolosamente imprevedibile.

C’è una scena in Bird che sintetizza l’idea di regia di Clint Eastwood, quando Parker si rifiuta per l’ennesima volta di “vendere” i suoi spacciatori di eroina e viene scaricato dall’auto dell’agente della narcotici proprio fuori ad un negozio di musica, una vetrina piena di strumenti musicali che Parker non nota nemmeno, che resta lì ferma sullo sfondo della sua vita e del suo cammino, barcollante verso l’ennesimo fallimento.
È pur vero che nella vita di Bird ha avuto un ruolo dominante la sua dipendenza da eroina, che lo ha accompagnato dall’adolescenza alla morte a soli 34 anni. Eastwood sceglie questo aspetto, oltre alla sua inaffidabilità sul lavoro e le difficoltà economiche che ne conseguono, e rende Bird una creatura in completo auto disfacimento, pur consapevole di essere uno dei più grandi geni del suo tempo, e non solo. Bird lo sa, ma non può fare a meno della sua droga, come del suo sassofono. Potrebbe vivere tranquillamente in Europa ma lui sceglie la sua droga, sceglie New York, una città spietata ed indifferente al suo talento.

Il Charlie Parker di Eastwood è uno dei suoi più classici antieroi. Quando Red Ronnie, amico e collega di Bird, gli chiede “tu, pensi di arrivarci ai quaranta?” lui risponde “io sono diverso”, una differenza che lo situa immediatamente in un’altra galassia rispetto alle altre stelle del jazz come Dizzy Gillespie ad esempio. Dizzy è un riformatore, io sono un martire dice Bird, prima di aggiungere “e la gente i martiri se li ricorda in eterno”.



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