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Speciale Clint Eastwood: Cacciatore bianco, cuore nero

Pubblicato il 15 febbraio 2015 da Nicola Calocero


Speciale Clint Eastwood: Cacciatore bianco, cuore nero

È passato ormai un quarto di secolo dal film più metacinematografico di Eastwood, Cacciatore Bianco, Cuore Nero. Il film, spesso relegato come un’opera minore, attraversando ormai due secoli e tre decenni, ha il pregio in vero di approfondire molto dell’approccio alla vita, della sensibilità e del metodo di lavoro del nostro Clint. Tratto da un romanzo autobiografico di Peter Vieterl uscito come istant book nel 1953, la vicenda trae spunto dalla burrascosa lavorazione del film di John Huston La Regina D’Africa, uno dei film più ambiziosi del filone coloniale del grande maestro.

Lo sceneggiatore Vieterl, all’epoca sul set del film in Africa, chiamato ad adattare la vicenda secondo gli imprevisti che il soggetto poteva incontrare per cause produttive di forza maggiore in una situazione fuori dagli standard dello studio system, volle quindi fissare questa esperienza nei mesi successivi alle riprese. Per buona educazione, ma soprattutto per evitare pesanti strascichi legali, il dialoghista ragazzo di bottega cambiò nome ai personaggi, ma sappiamo benissimo che dietro uno pseudonimo si celano a tutto tondo Huston, Bogart e la Hepburn colti nella loro fragilità di fronte ad una situazione così paradossale.

Clint Eastwood, oltre a dirigere il film, interpreta il ruolo del protagonista. L’alter ego di John Huston. Il regista che vuole girare un film nel cuore del continente nero solo per potersi gloriare di aver ucciso un elefante. Ed il confronto di Clint con il grande regista della generazione precedente diventa affascinante e pieno di contatti e sovrapposizioni. Sicuramente i due titani si incontrano a sud di Roma nei primi anni sessanta, di certo entrambi nella loro carriera unica ed irripetibile hanno trasposto pienamente la propria vita e le proprie contraddizioni in una filmografia mai vincolata dal limite del capolavoro. Il film di Clint Eastwood, in questa sovrapposizione concreta di vita e arte, diventa una sorta di suo personale "DISPREZZO". Rileggendo la pellicola da questo punto di vista, si arricchisce anche il significato pionieristico della Regina D’Africa, che si pone - nel suo viaggio nel cuore della Storia - anticipatore della rilettura di Conrad che darà lo spunto cardine ad Apocalypse Now di Coppola. L’opera magistrale sul tema dell’ossessione, dove il fiume avrà lo stesso profilo semantico già introdotto qui da Huston. Queste sovrapposizioni non gratificarono il palato fine e "francese" di Bertolucci che, presidente della giuria a Cannes nel 1990, preferì assegnare la Palma d’oro al Lynch di Cuore Selvaggio, quando si trovò a dover giudicare il film di Clint in concorso quella primavera sulla Croisette. Alla fine il cacciatore bianco, lost in Africa, terminerà le sue riprese e si troverà di fronte l’elefante tanto agognato. Ma stavolta, pur essendo lui l’uomo con il fucile, inizierà a correre.



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