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SPIDER

Pubblicato il 13 novembre 2002 da Giovanni Spagnoletti


SPIDER

Sono cosciente di dispiacere a molti amici cinefili (ed anch’io lo sono a mia volta) ma sono convinto che Spider costituisca il film meno riuscito (o comunque uno dei più deboli) nella gloriosissima carriera di David Cronenberg. E così, con amaro disappunto, scrivo questa recensioncina risentita, in attesa, me lo auguro, di infiammarmi al prossimo film. Beckett riletto da Freud - con questa formula ad effetto il regista canadese ha descritto l’essenza di questo Kammerspiel tratto (e sceneggiato dallo stesso autore) dall’omonimo racconto di Patrick McGrath. Ma così come lo scrittore londinese non è certo del calibro di William Bourroughs, anche Spider non è The Naked Lunch (1992), di cui a dieci anni di stanza condivide, nell’incipit della narrazione, la natura oscura di un incubo prolungato e labirintico. Ancora uno psicodramma, quindi, com’è ovvio aspettarsi dal filmaker Cronenberg, ma semplificato, denaturato, sterilizzato, reso quasi un semplice spettacolino da palcoscenico teatrale. Siamo in una topaia dell’ East End a Londra, dove torna un uomo profondamente disturbato sul piano mentale: a contatto con l’ambiente natio, inizia a rievocare i traumi della sua infanzia, in particolare la tragica morte della madre, avvenimento che tende a sovrapporre con personaggi del presente. Sulla base di questo labile canovaccio, Spider allora - privo com’è anche di qualunque suspense o mistero sottocutaneo dato che qualunque spettatore un poco attento può immediatamente individuare i termini della problematica del double - si riduce ad essere nella sostanza una prova d’attore. Dove domina, in una galleria di contorcimenti mimici, l’istrionico talento di Ralph Fiennes che fa da padrone assoluto sulla scena, insieme ai toni marci della fotografia, questa sì splendida, del mago Peter Suschitzky, abituale compagno di avventure visive dell’ultimo Cronenberg. Tutto il resto - a partire dai flash-back, dagli insert di passato con la coppia Miranda Richardson-Gabriel Byrne nei panni dei genitori del protagonista - passa in secondo piano, così come il film che si rivela, malgrado il presunto mistero del protagonista, ad una sola dimensione. Viene allora a cadere quella celebre “doppiezza”, quel senso di spaesamento e di oscura riflessione sull’Esistente che ha reso il cinema del filmaker di Toronto unico ed inimitabile, mentre qui, invece, sembra che al suo posto sia all’opera un fiacco ed imbolsito allievo di bottega. Mentre il vero maestro torna a palesarsi solo in parchi momenti quando - lo stile non è acqua - ci restituisce il glamour di sempre.

regia: David Cronenberg soggetto & sceneggiatura: Patrick McGrath fotografia: Peter Suschitzky montaggio: Ron Sanders musica: Howard Shore interpreti: Ralph Fiennes, Miranda Richardson, Gabriel Byrne, Lynn Redgrave produzione: Grosvenor Park Productions origine & durata: Canada 2001, 1h 38’ Distribuzione italiana: Fandango

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