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Spostamenti progressivi del desiderio. I corpi mutanti del melodramma cronenberghiano

Pubblicato il 19 dicembre 2005 da Fabrizio Croce


Spostamenti progressivi del desiderio. I corpi mutanti del melodramma cronenberghiano

“Con lui per la prima volta ho recitato come quando cerco di scrivere una poesia: sono partito dall’osservazione e sono approdato all’espressione”
Viggo Mortensen
La capacità con cui David Cronenberg è sempre riuscito ad esprimere il significato radicale e rivoluzionario che scorre tra le piaghe del racconto melodrammatico attraverso la rappresentazione del corpo e del suo potere seduttivo,sconvolge ogni volta per come tutto ciò che rientra nel taglio delle sue inquadrature-oggetti,volti,luoghi,suoni-acquista spessore,consistenza quasi tattile e suggerisce un avvicinamento pericoloso alla materia perché ne fa toccare l’anima, lo spirito sotteraneo. Se il genere ultimo a cui è possibile riportare tutta l’opera del cineasta canadese è proprio il melodramma concepito nella sua forma più essenziale - la relazione uomo/donna e lo squilibrio che consegue dalla supremazia sentimentale, fisica ed intellettuale di uno nei confronti dell’altro - Cronenberg adotta un processo di sovrapposizione tanto a livello iconografico che dal punto di vista narrativo, costruendo sopra lo scheletro di quella struttura base altri rimandi e altri riferimenti di genere, visioni alternative, la freddezza asettica della mente analitica calata in realtà spesso morbose, cupe, ai limiti dell’apocalisse esistenziale.
L’esempio più lampante e geometrico di questa pratica di riscrittura filmica è senza dubbio quell’M.Butterfly nel quale, fin dal titolo, si parte dalla citazione testuale di una delle storie più emblematiche del melodramma(lirico) per arrivare ad un rovesciamento della prospettiva, lo smascheramento delle illusioni e delle fantasticherie sentimentali nella verità ultimà del corpo. Non solo infatti è stravolto il senso dell’opera pucciniana dov’era la geisha Butterfly a sacrificarsi per amore del suo soldato americano, ma l’inserimento del meccanismo della spy story apre nuove e labirintiche suggestioni alla vicenda. Butterfly è doppiamente traditrice in quanto in realtà è un uomo che, assoldato dal controspionaggio cinese, ha creato l’immagine mitizzata e archetipica di una creatura femminile presente e assente al tempo stesso,l’arma più micidiale con cui sedurre un compassato e represso diplomatico inglese per estorcergli segreti di stato. Considerando che una simile contro-lettura di una storia così cristallina nel suo classicismo era già stata filtrata dalla pièce teatrale di David Henry Hwang, l’occhio di Cronenberg si posa sulla parola e sul racconto per esplicitarne la potenza evocativa in sequenze e,in particolare,in una sequenza di rara,insopportabile commozione: Butterfly\Song Liling, terminato il processo che ha visto condannare sia lui sia Gallimard, il suo inconsapevole amante\delatore, sul furgone che li sta conducendo entrambi in carcere si svela brutalmente eppure dolcemente nella sua cruda nudità maschile che nega l’immaginazione amorosa tanto quanto esalta l’ormai lontanta, malinconica, spostata necessità di sognare, come se Gallimard tenesse kubrickianamente gli occhi “aperti-chiusi”, dando alla spazio e al tempo la dimensione espressionista della sua interiorità che convive con inquietudine e sofferenza nell’oggettiva materialità dell’ambiente esterno. Questa schizofrenia tra una sessualità profondamente romantica,disperata, spirituale e la meccanica ripetizione dell’atto fisico fine a se stesso è l’autentica dicotomia che vive sotto la pelle dei personaggi e forma la scorza dura delle immagini cronenberghiane, non certo la moralistica divisione in buoni o cattivi, con la definizione netta e limitante dei concetti di bene e di male. Basti pensare a come si modifica il rapporto tra Seth Brundle e Veronica Quaife ne La Mosca (altro melodramma camuffato stavolta da sci-fiction), dall’iniziale attrazione che li porta a desiderarsi,ad amarsi e a concepire un bambino, al definitivo finale in cui l’allucinato Brundle, nella fase terminale della sua mutazione,chiede alla donna di unirsi geneticamente a lui in una sorta di trinità con il figlio che porta in grembo.
Il fallimento, la disgregazione, l’incapacità di amare e di comunicare sono sempre i canali conduttori verso il crollo della mente raziocinante e questo processo ineluttabile viene somatizzato dal corpo che cambia, muta, si ammale, soffre e si fa carico di una consapevolezza emotiva e psicologica sotto cui, alla fine, è destinato a tracollare, non essendo in grado di tollerare la manifestazione dell’assolutezza del desiderio e dell’amore. Gallimard, prima di mettere in scena il suo suicidio, assumerà le sembianze della Butterfly del suo inganno, un Brundle imprigionato nella mostruosa identità fisica di animale-macchina chiederà a Veronica, con il suo ultimo barlume di coscienza umana, di ucciderlo, il Max Renn di Videodrome, rendendosi conto di non poter subliminare i propi impulsi nella civiltà della tecnologia, trasformerà sé stesso nella sua ossessione per il video esplodendo insieme ad esso: nei loro confronti come nei confronti di tutti i paronoici sognatori che popolano, frenetici e insofferenti, queste visioni dell’assurdo, Cronenberg mantiene un atteggiamento contemporaneamente sintonizzato su un registro di distaccata e a volte ironica constatazione e in un sussulto di toccante, silenzioza partecipazione con il crescere del tormento e dell’indeterminatezza. Il corpo sa tutto, recita il titolo di un romanzo di Banana Yoshimoto. A volte è come se i corpi del cinema di David Cronenberg si facessero portatori di una richiesta che le menti e i cuori non riescono a formulare: preferire l’ignoranza di una porta chiusa, alla conoscenza che si affaccia sull’inferno.


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