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Star Wars: Episodio 1 - La minaccia fantasma

Pubblicato il 16 settembre 1999 da Roberto Pisoni
VOTO:


Star Wars: Episodio 1 - La minaccia fantasma

Perché la forza ha abbandonato Lucas? Questa è la domanda che scuote le tempie all’uscita dalla proiezione di Episode I. O meglio: perché Lucas ha rinunciato alla forza? Dove sono finite l’energia vitalistica, l’euforia narrativa, la potenza della rappresentazione che hanno infisso la prima trilogia nel cuore dell’immaginario collettivo al pari di un archetipo junghiano? Che cosa non ha funzionato nella invincibile armata multimediale (ILM) al servizio dell’atto fondativo della cosmologia lucasiana?

Quando nel 1994, diciassette anni dopo la sua ultima regia, Lucas ha annunciato al mondo che i tempi erano maturi per realizzare fino in fondo la sua ossessione anti-mimetica - "Io, come uno scrittore, voglio avere la libertà di disporre di tutte le metafore e le immagini che desidero, e le voglio creare indipendentemente dalla realtà"-, la sfida è parsa a tutti temeraria e affascinante. E da questo punto di vista Lucas non solo ha vinto la partita, ma ha fatto "cappotto": quasi nessun’immagine del film deriva per intero da una riproduzione fotografica del reale tradizionalmente intesa (esseri umani riprodotti nei loro ambienti); ogni inquadratura è frutto di elaborati procedimenti tecnici e digitali che l’arredano di strati progressivi; tutto, dai cieli elettrici al verde dei campi del pianeta Naboo, si autocertifica come pura creazione fantastica e il regista americano non si è mai avvicinato tanto al suo ideale di visione totalmente controllata. Ma non è il sapore immateriale del software a irritare - queste paturnie le lasciamo ai puristi -, in fondo Lucas non è mai stato uno stilista o un virtuoso della forma, ha sempre avuto però il dono della nitidezza e del contrasto compositivo. In Episode I c’è invece l’ansia della grande abbuffata, il quadro è un rigoglio di droidi, alieni, strutture, palazzi, astronavi, che a volte regalano scene d’impressionante grandiosità (la battaglia tra i Gunga e le truppe imperiali, il dibattito nel senato, la corsa degli sgusci), altrove e più frequentemente però marmorizzano i personaggi, l’azione e la narrazione. Con il risultato che film molto meno "effettati", come Matrix o Starship Troopers, godono di un’esuberanza cinetica, di una compattezza, addirittura di una modernità estetica, di gran lunga superiori al nuovo Star Wars. Ma non è neanche questo il punto. La memoria cinematografica di Lucas è enciclopedica e insaziabile e non stupirebbe che, come ha scritto Jonathan Rosenbaum, per trovare un degno passato al futuro che aveva già raccontato, abbia attinto — ne sono spia di superficie tutte quelle transizioni a tendina - ai B-movies seriali della Republic, cercando una solennità primitiva e sacrale. Cosa allora?

La saga lucasiana ha spalle larghe per sopportare la frontalità griffithiana, tollera perfino un cast sballato - clamorosamente in Ewan McGregor che sembra il fratello di Adso da Melk de Il nome della rosa -, lo humour insopportabile del coniglione anfibio Jar Jar, gli stereotipi linguistici dei personaggi minori, ma non può rinunciare al sale del suo manicheismo, alla coerenza e alla scioltezza narrative. Digerito il futile pretesto all’origine della guerra — in fondo per una questione di tasse è scoppiata anche la guerra del Peloponneso - la storia scivola via come un brutto romanzo asimoviano, con troppi personaggi abborracciati, relazioni inspiegate (tra Qui-Gong e Obi-Wan), inserzioni pseudocristiane (l’Immacolata concezione di Annakin), eugenetica, gnosticismo, ma soprattutto senza incarnazioni plausibili del Male (Darth Maul ha tre battute, il futuro imperatore si intuisce appena), senza cioè quel polo dinamico base che sorreggeva, unitamente al suo opposto, la complessa impalcatura della trilogia precedente. E’ ovvio che Lucas abbia avvertito l’urgenza di dare spiegazioni, di rafforzare gli addentellati con gli episodi successivi, ma la preoccupazione didascalica ha finito per penalizzare l’azione e soprattutto ha raggelato le emozioni. Il difetto principale di Episode I è la placida e avvolgente tranquillità con cui si snodano le scene, la distanza contemplativa che impongono allo spettatore, la loro totale astenia emotiva. Che delusione per chi inseguiva il totem primigenio del culto e si è trovato davanti agli occhi una prefazione compita e fin troppo seriosa. No, non è questo il Vecchio Testamento che ci aspettavamo da Lucas.


CAST & CREDITS

(Star Wars Episode I The Phantom Menace); Regia e sceneggiatura: George Lucas; fotografia: David Tattersall; montaggio: Paul Martin Smith, Ben Brutt; scenografie: Gavin Bocquet; costumi: Trisha Biggar; musiche: John Williams; interpreti: Liam Neeson, Ewan McGregor, Natalie Portman, Jake Loyd, Pernilla August, Frank Oz, Ian McDiarmid; produzione: George Lucas per la Lucasfilm Ltd; Usa 1999; distribuzione: 20th Century Fox.


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