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Stray Dogs

Pubblicato il 7 settembre 2013 da Salvatore Salviano Miceli

VOTO:

Stray Dogs

È forte la tentazione di rifugiarsi nella metafora, di trincerarsi all’ombra di qualche non detto, di chiamare in soccorso la simbologia così da ammantare di plausibilità tutti gli scenari e i significati possibili. Sarebbe la scelta peggiore per accostarsi a Stray Dogs, ultimo straordinario tassello della filmografia di Tsai Ming-Liang, perché c’è solo da aprire gli occhi e lasciare che il cinema - questo si respira senza sosta dal principio all’epilogo - svolga la sua lezione. Talmente potente e intensa è la sua azione da liberare qualsiasi esercizio critico e di giudizio dalla contingenza del momento invitando, ancora più che per i film precedenti, a lasciare penetrarsi dai modi così personali, intimi e strazianti con cui il regista malese organizza il suo sguardo.
Straziante come solo un film che lega in un abbraccio indissolubile l’idea di fine allo smarrimento, sensoriale, fisico, emotivo, urbano dell’essere umano, può essere. Potrebbe essere l’ultimo lavoro di Tsai Ming-Liang, sempre più indisciplinato nell’accogliere un’idea di cinema omologata e univoca. La ricerca iniziata con Rebels of the Neon God, che si propone di inseguire il senso ultimo dell’immagine in movimento e del suo offrirsi allo spettatore, arriva quindi a confrontarsi con una possibile conclusione. In Stray Dogs i limiti, le criticità, le fragilità divengono reali protagoniste da leggere e rintracciare in ogni passaggio. Si scovano nel lavoro che spoglia l’uomo della sua unicità, rendendolo semplice veicolo di un messaggio pubblicitario, nel cibo azzannato e divorato senza alcuna sosta, con la frenesia disperata del cane randagio che approfitta di tutto come non ci fosse un domani.
La fragilità torna in una realtà urbana (nuovamente Taipei come al principio della sua filmografia) che dissolvendo la sua identità, inseguendo modelli occidentali che non le appartengono, ha reso esuli i suoi figli. E a loro non resta che rifugiarsi in case più simili a ripari improvvisati che non a cattedrali della propria intimità. Case travolte dalla pioggia, da una realtà che appare sempre più offensiva, in cui qualcosa di malsano ha avuto facile accesso trasfigurandone perfino i ricordi passati. Così la speranza diviene un luogo altro, da guardare però con occhi ormai disillusi, come se non ci fosse più tempo per un nuovo spazio, un affresco la cui presenza appare insensata e la cui evanescenza è da scongiurare marchiando il territorio circostante, ancora una volta come un cane che insegue il possesso.
Non serve, e forse non è neanche possibile, cercare di raccontare la trama di Stray Dogs. Come accade per tutti i film di Tsai Ming-Liang - ancora di più da Il gusto dell’anguria in poi - la storia, secondo le regole di ogni incisiva sinossi, resta ineffabile. La vera storia si costruisce attimo dopo attimo nei silenzi e nelle sospensioni. Silenzi e sospensioni densi di quello straniamento che il regista ha ormai abbracciato in modo sempre più radicale, tanto da costringere chi osserva ad una scelta netta.
Si può decidere di accettarlo il cinema di Tsai Ming-Liang, così come lecito e più che giustificato può essere considerato il rifiuto. L’accettazione, però, deve essere totale. Solo così è possibile essere partecipi di quel dialogo iniziato nel 1992, che ha saputo modificarsi negli anni sino a raggiungere la complessità propria di una elaborazione teorica. Solo così ci si può accorgere di quanto movimento trovi ospitalità nel rigore geometrico, in quelle lunghe inquadrature a camera fissa che avviano una dialettica incessante con il concetto di esasperazione. Perché in quei quadri che sembrano protrarsi oltre il consentito, all’interno di uno spazio delimitato e apparentemente immobile, esplodono improvvisamente segni e significati che si fanno percepibili con le loro urla. Solo tramite l’accettazione totale si chiarisce la gratitudine che l’autore offre ai suoi attori - Lee Kang Sheng su tutti - rendendoli termini principali di ogni relazione prospettica. Se il cinema in definitiva, oltre l’immagine e il sonoro, è soprattutto stupore, allora Tsai Ming Liang ne è uno dei suoi maggiori interpreti e Stray Dogs ne è un magnifico esempio.


CAST & CREDITS

(Jiaoyou); Regia: Tsai Ming Liang; sceneggiatura: Tsai Ming Liang, Tung Cheng Yu, Peng Fei; fotografia: Liao Pen Jung, Sung Wen Zhong; montaggio: Lei Zhen Qing; scenografia: Masa Liu, Tsai Ming Liang; interpreti: Lee Kang Sheng, Yang Kuei Mei, Lu Yi Ching, Chen Shiang Chyi, Lee Yi Cheng, Lee Yi Chieh, Wu Jin Kai; produzione: Homegreen Films, JBA Production, Hose on Fire, Urban Distribution International; distribuzione: Urban Distribution International; origine: Taiwan, France, 2013; durata: 138’


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