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Lou Von Salomé

Pubblicato il 26 settembre 2019 da Matteo Galli
VOTO:


Lou Von Salomé

Mentiremmo se affermassimo di ricordarci bene di Al di là del bene e del male di Liliana Cavani, in rete si trovano solo poche sequenze. Costosa coproduzione italo-franco-tedesco occidentale uscì nel 1977 in piena Nietzsche-Renaissance con interpreti Dominique Sanda, bellissima come sempre, Erland Josephson nel ruolo di Nietzsche e Robert Powell in quello di Paul Rée nello stesso anno in cui divenne – almeno in Italia - celeberrimo grazie al Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli. E c’era anche Virna Lisi che interpretava la sorella di Nietzsche, Non abbiamo il ricordo di un film memorabile, chissà che effetto farebbe a rivederlo oggi. Si ha tuttavia come la sensazione che quel film fosse un capolavoro in confronto al biopic semplicemente intitolato Lou Von Salomé, uscito da qualche settimana in Germania per la regia di Cordula Kablitz-Post, autrice non più giovanissima (1964) di numerosi documentari e film per la TV, ma praticamente al suo esordio sul grande schermo. E si vede.

Nella sua prevedibilità, nell’iterazione per esempio nell’uso della colonna sonora, nella recitazione degli attori non si può non definirlo un film televisivo, nel senso non nobilissimo del termine. Rispetto al film della Cavani che si concentrava quasi esclusivamente sulla fase in cui Lou condusse insieme a Nietzsche e a Paul Rée un – peraltro platonico - ménage a trois, qui il biopic, costruito con una struttura a cornice, recupera se non tutta la vita, altri snodi importanti della vita della protagonista. La cornice è rappresentata da una visita che la signora ormai settantaduenne, chiusa in casa e semicieca, con la figliastra Mariechen (Katharina Schüttler) a farle da badante, riceve da un germanista chiamato Ernst Pfeiffer, che fu poi materialmente il suo esecutore testamentario. La visita avviene non in un anno qualunque, perché siamo nel 1933, e infatti nei titoli di testa vediamo il rogo dei libri, e fra questi tutte le opere di Sigmund Freud, di cui fra poco. Pfeiffer riesce a guadagnare la fiducia di Lou, e in breve diventa il suo confidente e dattilografo della sua autobiografia. Ripercorriamo a rapide tappe infanzia e adolescenza a San Pietroburgo (è qui che nasce nel 1861), gli anni universitari a Zurigo (l’unica università di lingua tedesca che immatricolasse anche donne), la conoscenza di Nietzsche e Rée, la fine del ménage, soprattutto a causa dell’insofferenza di Nietzsche (e della sorella) la relazione (e, malgrado tutto, anche il matrimonio) con l’orientalista Carl Andreas, cui deve il primo cognome (Salomé, in realtà von Salomé essendo quello da ragazza), la storia d’amore con Rilke, il primo uomo (sembra) a cui Lou volle concedersi, la relazione passionale con un altro celebre scrittore, l’austriaco Richard Beer-Hoffmann, la gravidanza poi abortita, infine – giusto per finire – questa rassegna di celebrità l’ingresso di Lou nell’entourage di Freud, di cui diventa paziente e allieva. Ancora oggi, forse, più che la letteratura di finzione le cose più interessanti scritte da Lou Andreas-Salomé sono da rintracciarsi nel campo della psicanalisi, per esempio scritti sul narcisismo che hanno esteso e modificato l’accezione freudiana.

Tutti questi incontri sono scanditi da frasi ad effetto (dopo aver finalmente conosciuto l’amore carnale: «bè, aveva proprio ragione Nietzsche quando diceva che il dionisiaco era meglio dell’apollineo», ma no!), musica invasiva a più non posso, corse a perdifiato, «pianti, sospiri, carezze, svenimenti», come diceva Don Alfonso in Così fan tutte. L’unica soluzione che vorrebbe essere originale: ogni volta che ci spostiamo in una diversa città (Zurigo, Roma, San Pietroburgo, Berlino, Vienna), ecco che ci viene presentata una cartolina d’epoca, color seppia o con colori anticati, a tutto schermo e all’improvviso compare l’attrice che cammina su questo sfondo fisso. Effetto di straniamento, sì, ma da quattro soldi.

I personaggi, soprattutto quelli famosi, sono delle macchiette; a Nietzsche (interpretato da Alexander Scheer, l’attore che interpretava Micha, il protagonista del film tedesco di culto Sonnenallee) hanno piazzato due baffoni che in più d’una sequenza sembra Giovanni Storti, anche il Rilke con gli occhi cerulei (Julius Feldmeier) non è granché. E non lo sono nemmeno le due Lou, né Katharina Lorenz che la interpreta da giovane, né Nicole Heesters che la interpreta da vecchia, due oneste attrici televisive.

Poiché a un certo punto, in pieno ménage i tre finiscono in Alto Adige, ecco che il film ha anche una co-produzione italiana e anche un contributo del MIBACT. Chissà che non arrivino anche a distribuirlo questo brutto film? Preferiremmo di no, ma da un lato il biopic, dall’altro il film sulla tradizione tedesca, e infine stanti i tanti personaggi famosi potrebbe anche arrivare in Italia. E poi, in coda, c’è anche tutta la drammaticità della storia tedesca che sul piano distributivo funziona sempre bene: von Salomé era ebrea e molte delle opere inedite vennero confiscate dai nazisti. Fu solo grazie a Pfeiffer che dopo la guerra vennero edite o riedite. Lou morirà a Göttingen nel 1937, a settantasei anni.


CAST & CREDITS

(Lou Andreas-Salomé); Regia: Cordula Kablitz-Post; sceneggiatura: Cordula Kabitz-Post, Susanne Hertel; fotografia: Matthias Schellenberg; montaggio: Beatrice Babin; interpreti: Katharina Lorenz (Lou Salomé giovane), Nicole Heesters (Lou Andreas-Salomé a 72 anni), Alexander Scheer (Friedrich Nietzsche), Philipp Hauß (Paul Rée), Matthias Lier (Ernst Pfeiffer), Katharina Schüttler (Mariechen), Julius Feldmeier (Rainer Maria Rilke), Merad Ninidze (Carl Andreas), Harald Schrott (Siegmund Freud); produzione: avanti media, Tempest Film; origine: Germania-Austria 2016; durata: 113’


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