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Suspension of Disbelief

Pubblicato il 13 novembre 2012 da Giovanna Branca

VOTO:

Suspension of Disbelief

Che cosa succederebbe se un’opera di fiction ci venisse spiegata punto per punto nel suo costruirsi? Che ne sarebbe del fenomeno della sospensione dell’incredulità, ovvero della disponibilità del pubblico a credere a ciò che sta succedendo sullo schermo (come su un palco teatrale o una pagina stampata)?
La rottura della quarta parete è una pratica che esiste dalle origini stesse del teatro come del cinema ed il film di Mike Figgis – che si chiama per l’appunto Suspension of Disbelief – si propone di indagarne programmaticamente il funzionamento.
Mettendo in scena la storia di uno sceneggiatore, Martin, che sta scrivendo la stessa storia che si manifesta sullo schermo e che spiega passo per passo le regole alla base della scrittura drammatica. Martin dunque sta scrivendo un film. Contemporaneamente, si trova invischiato in una vicenda fatta di tutti i capisaldi del cinema noir: femme fatale, omicidio, sospetto, il detective che scrive storie. Ma c’è anche il film nel film, perché la figlia Sarah sta recitando in un lavoro tratto da una sua sceneggiatura, che gioca anch’esso coi clichè dei generi tradizionali, mentre dietro la macchina da presa c’è un ragazzo che a sua volta è il prototipo del regista lumacone che se la fa con tutte le sue attrici.
Ed infine ci sono anche le didascalie sullo schermo a spiegarci punto per punto a che cosa stiamo assistendo, mentre lo split screen iniziale che divide il film in cui recita Sarah dal suo processo di lavorazione apre idealmente al terzo e ultimo livello: il film di Figgis nel suo farsi. Siamo dunque ancora disposti a credere a ciò che sta succedendo? La risposta è si, perché come spiega Martin alla sua classe la zona adibita alle emozioni del cervello umano non fa differenza tra verità e finzione. E senza scomodare la neurologia, ce lo aveva già spiegato la psicanalisi applicata al cinema che il principio del desiderio è ciò che regge ogni immedesimazione. Ciò che fa si che anche la storia più improbabile venga vissuta dal pubblico come reale. Storia di doppi conturbanti alla Vertigo e Strade perdute – la femme fatale Angelique e la gemella Therese, che hanno addirittura i capelli rossi come Gilda – Suspension of Disbelief moltiplica i livelli in maniera molto simile al bellissimo Road to Nowhere di Monte Hellman che aveva vinto l’insolito leone d’oro per l’insieme dell’opera a Venezia 2010 (che sarebbe meglio chiamare il "Lodo Hellman" ad opera dell’allievo Tarantino), riuscendo comunque ad appassionarci alla storia che stiamo letteralmente vivendo. Nonostante qualche tempo eccessivamente dilatato, Figgis mette a segno il suo intento “intellettuale” senza compromettere la partecipazione emotiva. Non sarà certo la più riuscita analisi filmica della presa dell’arte sull’animo umano, né la più originale, ma è comunque un esperimento riuscito e neanche eccessivamente compiaciuto. Sostenuto dal desiderio per la storia e – attraverso le tante citazioni di maestri come Hitchcock - dall’amore per il cinema.


CAST & CREDITS

(Suspension of Disbelief) Regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio e musica: Mike Figgis; scenografia: Vito Di Rosa; interpreti: Sebastian Koch, Lotte Verbeek, Emilia Fox, Rebecca Night; produzione: Suspension, Red Mullet, Sosho; origine: Regno Unito; durata: 107’.


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