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Suspiria

Pubblicato il 31 dicembre 2018 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Suspiria

Che vinca o non vinca un Leone o altri premi, è arrivato al Lido, in competizione, il film senza dubbio più atteso dell’intera rassegna veneziana: Suspiria di Luca Guadagnino. E come al solito ha scatenato reazioni contrastanti nelle proiezioni per la stampa, ormai frequentate in buona parte da giovani cinefili nati insieme ad internet, responsabili delle manifestazioni più sgradite e chiassose, stavolta, tuttavia, sommerse e oscurate dagli applausi. Guadagnino è, specialmente dopo Chiamami col tuo nome, autore che divide il pubblico in adoratori convinti e altrettanto protervi hater. Chi scrive è tra coloro che con il tempo hanno imparato ad amare questo autore italiano che di italiano (si parla naturalmente del suo cinema) sembra avere ben poco se non nulla, nella misura in cui i suoi film non assomigliano, per estetica, linguaggio e logiche produttive, a nessun altro prodotto realizzato in Italia negli ultimi trent’anni. Coltissimo, apòlide, visivamente audace e sperimentale come pochissimi altri suoi colleghi in una disciplina, il cinema, che lascia sempre meno spazio alla ricerca per arrivare agli occhi e al cuore di masse numericamente sempre più sconsiderate, Guadagnino è uno dei pochissimi cineasti il cui sguardo e il cui metodo creativo possono essere equiparati a quelli di un artista (o di un coreografo) contemporaneo. L’enorme successo, nonché la candidatura a 4 premi Oscar (ne ha portato a casa uno per la sceneggiatura) dell’ormai celebre love story tra Elio e Oliver tratta dal romanzo di André Aciman, gli ha finalmente permesso di fare un po’ come gli pare (praticamente l’ambizione di ogni regista) e di realizzare un sogno antico coltivato da quando, adolescente, vide Suspiria di Dario Argento: rifarlo tutto da capo. Ed ecco che, al termine di un cammino promozionale che ha dosato con abilità e furbizia logo, poster e trailer del film, il ‘suo’ Suspiria è pronto per affrontare le platee di tutto il mondo, a partire da questa presentazione al Lido di Venezia che Alberto Barbera è riuscito ad aggiudicarsi per la 75ma Mostra del Cinema, dove lo ha inserito in concorso.

È arrivato il momento, dopo questo forse troppo lungo e non necessario preambolo, di dirlo senza usare perifrasi e mezzi termini: Suspiria di Luca Guadagnino è un capolavoro (se n’è accorto anche Quentin Tarantino...). Rispetto all’originale del 1977, opera cult per cui fuori d’Italia Dario Argento è addirittura conosciuto più che per Profondo Rosso, il film di Guadagnino ne è una versione aggiornata e stravolta, eppure così rispettosa del suo cuore e della sua radice, mantenendone l’ambientazione mitteleuropea pur spostata nella Berlino divisa dal Muro esattamente nell’anno di uscita della versione di Argento. L’occasione di abbinare alla torbida e sanguinaria storia di stregoneria l’atmosfera plumbea e lugubre della Germania piagata dal terrorismo durante il dirottamento di un volo Lufthansa allo scopo di liberare quattro affiliati della Rote Armée Fraktion rinchiusi nelle galere tedesche, ha offerto lo spunto per rimpolpare l’idea di una Germania ancora percorsa da turbolenze maligne e sovrannaturali generate dalla stessa radice di quel Male assoluto che furono il Nazismo e la sua opera di destrutturazione capillare del mondo ebraico. Quella stessa Germania che negli anni ’70, funestati dalle cronache degli attentati e dell’attività terroristica che seguirono il massacro degli atleti sterminati da un commando palestinese alle Olimpiadi di Monaco del 1972, si ritrovava ancora incapace di gestire e superare l’immenso complesso di colpa che dalla disfatta della Seconda Guerra Mondiale grondava come una calotta isolante sull’intera società tedesca sia a Ovest che ad Est. Ma al di là di tutte queste pur pregevoli striature di significato, certamente imprescindibili per una corretta e più consapevolmente partecipata fruizione di Suspiria in versione Guadagnino, l’aspetto eminentemente registico e visuale del film è senz’altro il maggior punto di forza, indiscutibile per chi scrive, di un film che non somiglia a nessun altro titolo della Storia del Cinema Horror, compreso l’originale di Argento. Stupefacente è la cura con cui Guadagnino e il suo staff hanno ricostruito l’aura di ‘quella’ Berlino, dei suoi ambienti razionalisti e decadenti, delle sue vie squallide incorniciate dai muri scrostati dei palazzi riedificati dopo i bombardamenti del 1945, dei suoi ristoranti accoglienti, affollati e arredati con un accumulo di elementi e dettagli puntualissimi come saprebbe (e infatti sa) mettere insieme solo chi di quell’epoca e di quelle latitudini ha esperienza fisica diretta. Quello che però rende questo Suspiria tra i più grandi horror mai realizzati è la costante presenza di un disagio psicologico non subdolo e strisciante, ma al contrario magmatico, ventoso, grondante come una pioggia battente, orchestrato come una partitura convulsa di battiti d’ali a sorpresa, inattese scudisciate sugli arti, spintoni destabilizzanti dentro abissi insondati dell’anima (la propria, ma anche quella dell’intera comunità degli uomini), e coreografati con altrettante sciabolate taglienti, salti isterici e urti tellurici esaltati da un montaggio idiosincratico e convulso che avvicenda in velocità inquadrature diverse di un medesimo soggetto per comunicare, ammassando in sequenza i tanti diversi punti di vista, uno spaesamento fisico dovuto all’angoscia e al terrore di venire tumefatti, trafitti, spintonati, frantumati, e cercare la morte come liberazione da quell’incantesimo e da quella tortura. Con magistrale abilità, e senza mai scadere nell’estetica esornativa delle videoclip musicali, Guadagnino realizza un cinema che rinnova le sensazioni tattili e sonore perdute (o forse mai conosciute, se si considera il pubblico dei più giovani) ancora vivissime nel ricordo di chi dagli anni 70 in poi ha assistito dal vivo alle performance di Pina Bausch, Marina Abramovic o Franko B., alle coreografie del Living Theatre, agli spettacoli dei grandi pensatori nordeuropei della scena teatrale, ispirato alla vena dark che attraversa la Storia dell’Arte europea dal Medioevo in avanti e passando per Bosch e Baldung Grien illustra le pratiche stregonesche, la magia nera, i satanismi, i sabba indiavolati, per arrivare, verso il ‘900, a sfondare il velo della psiche umana e a rappresentare sulla carta e sulla tela gli incubi e le inquietudini oniriche di Rops, Redon, di Max Ernst, dei Surrealisti, fino a Balthus e alle sue ’50 sfumature di marrone’, come lo stesso Guadagnino ha ironicamente ricordato alla protagonista Dakota Johnson seduta accanto a lui durante la conferenza stampa veneziana. Chi ravvede nelle spettrali e mortifere architetture delle immagini di questo nuovo Suspiria indizi di Splatter commette un grave errore di valutazione estetica e artistica: la messa nera e l’orgia conclusiva di sangue e di morte non hanno niente a che vedere con il gusto grandguignolesco dei pur geniali horror americani recenti e meno recenti, e testimoniano la capacità di Guadagnino di aver ricreato sullo schermo la placenta stessa dove il Male viene generato, accudito, consumato, un luogo geograficamente irrintracciabile eppure pronto a svelarsi vicinissimo, nei nostri incubi più inquieti e riposti, e indurci a implorare la morte pur di risvegliarsi e uscirne, non senza aver attraversato, seduti in sala insieme ad altre decine di spettatori, l’estatica e straniante ebbrezza fisica di un orrore cerebrale, purissimo, quintessenziale, che soltanto l’Arte può domare aiutandoci a conviverci, purché non si crei più niente di bello e di leggiadro. Dopo gli orrori del Nazismo non si può più né si deve creare qualcosa di bello e di leggiadro. L’Arte, e con lei il Cinema, si fanno urto, disturbo, coreografia nevrotica, tagliente, indemoniata, strumenti per edificare solide architetture a protezione della nostra anima debole e fragile, fuga, rifugio, specchio di un orrore che è ovunque, fuori e dentro di noi.


CAST & CREDITS

(Suspiria); Regia: Luca Guadagnino; sceneggiatura: Luca Guadagnino, David Kajganich; fotografia: Sayombhu Mukdeeprom; montaggio: Walter Fasano; musica: Thom Yorke; interpreti: Dakota Johnson, Tilda Swinton, Jessica Harper, Chloë Grace Moretz ; produzione: Luca Guadagnino, David Kajganich, Francesco Melzi d’Eril, Marco Morabito, Gabriele Moratti, William Sherak, Silvia Venturini Fendi, Bradley J. Fischer; distribuzione: Videa; origine: USA, Italia, 2018; durata: 152’


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