Taxi to the dark side

Tra i temi maggiormente battuti nei film presentati alla seconda edizione della Festa del cinema di Roma, salta subito all’occhio una particolare attenzione del cinema statunitense nell’elaborazione dei lutti che infiniti adduce il doppio mandato di George Walker Bush. Film dai vari respiri, come il mainstream ‘redfordiano’ Leoni per agnelli che nelle parole del suo regista “dichiara guerra a chi fa la guerra” o Rendition, del sudafricano Gavin Hood, che ambienta tra Il Cairo e Washington un thriller che tenta di analizzare il grado di ”utilità” dello strumento della tortura in tempo di guerra. Ma a raccontare i mali della politica, dove non riesce la finzione di una sceneggiatura, riesce la verità delle immagini: il mezzo unico che è ormai diventato il documentario, veicolo privilegiato di informazione non cauterizzata, informa e regala verità spesso più angosciose di quanto si potesse sospettare. Parliamo di Taxi to the dark side, premiato con l’Oscar per il Miglior Documentario e al Tribeca Film festival, un documentario asciutto nell’affrontare il tema della tortura senza giri di parole o montagne di dati facilmente dimenticabili, violento nel vomitare la verità su una classe politica con le mani sporche di sangue, sconvolgente nel suo incastrare i pezzi di un mosaico che telegiornali e stampa ‘embedded’ mostrano volutamente nelle sue briciole più facilmente vendibili.
Partendo dalla manzoniana Storia della colonna infame per arrivare al rapporto di Amnesty International sugli abusi nel carcere irakeno di Abu Graib, la storia della tortura da sempre costella i foschi periodi della storia umana. L’11 Settembre ha “cambiato le regole” anche nell’applicazione stessa della tortura, rendendo le sevizie di Stato uno strumento di sicurezza nazionale a tutti gli effetti. Il documentario del regista Alex Gibney, già autore nel 2006 dell’ottimo film-inchiesta sullo scandalo Enron, presenta con una intelligente alternanza in fase di montaggio, testimonianze di scampati alle torture del carcere di Guantanamo, vecchie interviste di professori universitari autori di ricerche sperimentali sulla segregazione e su nuovi metodi di tortura, dichiarazioni alle tv americane di Bush (“uno per uno i terroristi stanno imparando cosa significhi la giustizia americana”).
Il regista lacera il muro di auto-censura dei media che ancora avvolge la questione della tortura, anche dopo la scoperta del “caso” Abu Graib. Lo fa producendo lui stesso il film, firmando da solo sceneggiatura e regia, recitando la voce narrante. Il bombardamento di immagini dei marines in posa con i prigionieri morti o seviziati dimostra un paradosso: bastano poche informazioni reiterate e fatte digerire al pubblico televisivo per nascondere l’oscura verità che si cela dietro i pochi ufficiali e soldati semplici incriminati. Gabbie con filo spinato, interrogatori di 20 ore consecutive, privazione della luce, del sonno, uso di Lsd, uso dell’acqua immessa a forza in gola con un imbuto, tecniche messe in atto da bassa manovalanza del terrore e avallate dai notabili della politica internazionale. La tortura come tecnica studiata scientificamente, con tanto di memorandum, di esperimenti in rinomate Università canadesi che sostengono la “genialità” della violenza senza sevizie fisiche, quella che colpisce la psiche e trasforma i prigionieri in una sigla, PUC - Persons under Us Custody - la tortura che permette di accanirsi su Dilawar, un tassista afgano catturato, seviziato e lasciato morire nelle carceri di Bagram, senza una ragione. Ma forse esiste una ragione, se si pensa che il liberismo delle merci ha bisogno del sistema-guerra per sopravvivere e senza i vari Abu Graib, Guantanamo, Bolzaneto non potrebbe creare un “nemico” che è altro da sé, colui che non accetta il pensiero unico. Un documentario perfetto per scoprire il lato nascosto dell’Occidente segregazionista, perfetto perchè colma una angosciante mancanza di informazione, perfetto perchè riesce a indignare, perfetto perchè svela senza fare di ciò uno spettacolo facile da dimenticare.
(Taxi to the dark side) Regia, sceneggiatura, produzione, voce narrante: Alex Gibney;montaggio: Slogane Kevin; fotografia: Maryse Alberti; musiche: Ivor Guest; nazione: USA anno: 2007 durata: 106’
