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(Tele)sogni e bi-sogni

Pubblicato il 10 aprile 2004 da Giovanna Quercia


(Tele)sogni e bi-sogni

Perché un mezzo di comunicazione possa aspirare a rappresentare i sogni collettivi, o anche soltanto i desideri personali, deve possedere qualcosa di monumentale, un’alterità dal mondo reale che lo renda quasi irraggiungibile. Dev’essere un po’ come una statua di cui possiamo toccare solo i piedi stando sulle punte dei nostri. La televisione, medium domestico, collocato quasi a terra, raggiungibile con il minimo sforzo e manovrabile con dei tasti anche a distanza, sembra davvero non avere nessuna di queste caratteristiche. Se è vero che il mezzo è messaggio, allora il piccolo schermo non si presta davvero a rappresentare i nostri sogni. E lo dimostra la storia di questo mezzo che, partito da giochi a premio rituali con vincite milionarie, spettacoli di varietà sbrilluccicanti infarciti di divi e programmi culturali pieni di personalità provenienti dal cinema, del teatro, della letteratura, dunque in qualche modo partecipi dell’aura divistica delle Belle Arti, è approdato, agli albori del terzo millennio, a eleggere il Reality Show quale genere principe. Potrà sembrare una moda passeggera, eppure sembra del tutto logico che la televisione, proprio perché si colloca tra le mura domestiche, cominci rubando i temi dalla vita quotidiana (la fiction), continui risucchiandone vampirescamente i protagonisti per immetterli in una cornice spettacolare (La Corrida, I fatti vostri, Carramba e tutte le innumerevoli trasmissioni costruite sulla partecipazione delle persone comuni) e finisca per (ri)metterla in scena, questa vita di tutti i giorni, in tutta la sua oscena e stuzzicante banalità (il Reality Show). Un genere che infatti non è rimasto confinato nei limiti orari di programmi definiti come il Grande fratello, La talpa o L’isola dei famosi, ma ha invaso come una metastasi buona parte del palinsesto, come dimostrano tutti i programmi condotti dalla “coppia infernale” Costanzo-De Filippi i quali infatti ai loro personaggi non chiedono più di fare gli ospiti, ma di recitare la loro vita davanti alle telecamere. L’intento, evidentemente, è quello di comunicare l’impressione che non ci sia più differenza fra vita reale e vita televisiva, di abolire il concetto di spettacolo, di annullare la distinzione fra pubblico e privato in un crescendo voyeuristico. Il movimento non è dalla televisione al mondo reale, ma dal mondo alla televisione, e il risultato inevitabile e premiato dagli ascolti, come dimostra l’ultima trovata della “reality soap” (eletta da Costanzo a soggetto di seminari universitari) che vede protagonisti i presunti fidanzati-amici-amanti Costantino e Alessandra, è quello di far sembrare che sono le vite delle persone a somigliare ad un programma televisivo e non il contrario. Se la presunta “vita in diretta” di due sconosciuti può diventare il momento clou di un varieta della domenica pomeriggio, allora l’unico Sogno, o meglio il Bi-sogno indotto, non può che essere quello di passare dall’altra parte, di finire dentro la scatola luminosa. In fondo, l’unico pegno da pagare per diventare ricchi e famosi, per essere intervistati nei talk-show e forse persino nei telegiornali, è quello di farsi filmare in bagno e in camera da letto. Annullate le distanze, azzerato lo scarto prodotto dall’apparizione del divo e dalle scenografie scintillanti, ridotta la mediazione di conduttori e giornalisti, il palinsesto televisivo assume, soprattutto se fruito in maniera massiccia, l’aspetto di un sostituto della vita reale o di un suo doppio solo leggermente deformato. Anziché allargare gli orizzonti della conoscenza, rappresentare una finestra sulla realtà esterna alla casa in cui viene fruita, esso diventa una sorta di mondo parallelo che scorre inerte accanto alle nostre vite, riproducendole e magari, talvolta, inglobandole. No, decisamente questa televisione non fa sognare nel senso dell’elevazione verso qualcosa che non c’è (ancora) o verso qualcuno che non siamo (ancora) - questo compito è più che mai nelle mani del grande schermo e di film come Big Fish - tuttavia non si può neanche affermare che non sia parente in qualche modo della sfera onirica, e, soprattutto, non si può escludere che condizioni i nostri sogni, quelli notturni. In virtù della sua presenza invasiva degli spazi più familiari e spesso delle ore più prossime al sonno, infatti, niente di più facile che le sue immagini cangianti e bidimensionali prendano a frequentare, nostro malgrado, i terreni dell’inconscio. Mentre un buon film, soprattutto se fruito nel suo luogo deputato, risveglia i desideri sopiti, stimola le capacità d’immaginazione e può rappresentare, in definitiva, la proiezione dei nostri sogni a occhi aperti, la tv, al contrario, si rivela piu adatta a popolare i sogni a occhi chiusi, a plasmare l’immaginario personale e collettivo. Per questo il suo potere, forse meno nobile, è più insidioso e piu forte (altro che Hollywood!). Pubblicitari e politici lo hanno capito benissimo. Forse anche molti telespettatori, che infatti stanno imparando a guardarsi dalla tv, mentre la guardano.

[aprile 2004]


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