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The beginning or the end(emol)?

Pubblicato il 30 maggio 2007 da Giampiero Francesca


The beginning or the end(emol)?

L’acquisizione da parte di Mediaset ed altri soci del 75% di Endemol ha scatenato una reazione da parte degli analisti degna di un cataclisma, di un apocalisse. Gli incubi di Orwell, le paure di un Grande Fratello oscuro, dominante, hanno invaso le pagine dei giornali. Brucia l’etere, secondo Blob è la fine, the end, apocalypse now. Che sia, dunque, davvero la fine?

Per evitare improbabili scenari futuristici, troppo riconoscibilmente vicini ad una parte politica o all’altra, bisogna partire dai fatti. Endemol è una società olandese produttrice di format televisivi, autrice, in Italia, di prodotti come Affari tuoi e Che tempo che fa (successi targati RAI) ma anche del Grande Fratello o Chi vuol esser milionario (bandiere del palinsesto Mediaset). Il 14 maggio 2007 il gruppo olandese è stato acquistato da Mediacinco Cartera (proprietà 25% del gruppo Mediaset e 75% di Telecinco) provocando in Italia reazioni sgomente e preoccupate.
Secondo molti analisti, e un vasto settore della politica, la RAI subirebbe un colpo decisivo, un fendente letale per la sua programmazione, per i suoi conti e la sua posizione sul mercato.

Tutta la bagarre creata intorno alla vicenda Mediaset/Endemol rischia però di confondere le acque, celando i problemi reali che affliggono la RAI, il mercato televisivo italiano e l’intero “Sistema Italia”. Andiamo per ordine.

Non facciamoci trarre in inganno: Endemol è una società calata perfettamente in un sistema capitalistico con l’obiettivo dunque di accrescere i propri profitti. Il suo interesse primario è quello di creare format di successo, indipendentemente dalle reti che li acquisteranno. Non sarà certo la discesa in campo di Mediaset ad impedire all’ex società olandese di creare i nuovi Affari tuoi. Anzi, è molto più probabile che la stessa nuova proprietà promuova iniziative di successo, come quelle viste in questi anni in RAI. Il profitto prima di tutto.
Nel frattempo siamo tutti così ostinatamente preoccupati dal pericolo lontano di Endemol da non vedere i problemi davanti ai nostri occhi. Come un virus la RAI si trova bloccata in bilico fra l’essere un soggetto del mercato e un servizio di pubblica utilità. Riceve il sostentamento di un canone, ma non può sottrarsi alle regole della pubblicità. E’ paralizzata dagli scontri politici intestini, dai governi, dalle lotte partitiche all’interno del suo CDA, ma è costretta a competere con broadcaster tutti tesi verso lo stesso scopo: primeggiare negli ascolti e nei profitti. Chi ne fa le spese sono i palinsesti (e dunque gli spettatori). Un esempio su tutti: nei giorni in cui veniva annunciato l’affare Endemol, Sky metteva sul mercato il suo pacchetto Formula 1. Un altro mattone di quello che era uno delle colonne portanti della RAI, lo sport, inizia a cedere. Dopo il passaggio alla concorrenza degli Internazionali d’Italia di tennis, di 90° Minuto, dopo la perdita dell’esclusiva dei mondiali di calcio (ora anche su Sky) RAIsport cede così un altro tassello, senza che quasi nessuno lo abbia notato.

Il problema sostanziale, semmai, nell’intera vicenda Endemol riguarda, dunque, l’intero mercato televisivo italiano e in particolare il delicato rapporto fra network e producer. In un sistema sano le due figure, di chi produce un format e chi lo propone al pubblico, dovrebbero essere distinte e indipendenti. La loro separazione andrebbe a vantaggio della concorrenzialità, parola a cui siamo troppo spesso refrattari. Fa sorridere pensare che questo problema sia stato messo in cima alla lista delle preoccupazioni proprio da Marco Bassetti, produttore della Endemol. Volendo far riferimento ai sistemi di mercato più evoluti, appare evidente come una migliore differenziazione fra broadcaster e produttori corrisponda ad una crescente qualità dei prodotti. Chi non è sicuro di trovare un acquirente per il proprio format è costretto a miglioralo, provarlo, vagliarlo.

Saremmo, però, ciechi se non ci rendessimo conto che queste distinzioni, per ora, in Italia sono impossibili. E’ qui che latita colpevolmente la classe politica italiana. Siamo il paese del conflitto d’interesse regnante, ma le leggi a riguardo, qualunque sia il colore del governo, rimangono impantanate fra le poltrone del Parlamento. Ogni ambito, dalle infrastrutture alla comunicazione, ha i suoi piccoli (o grandi) conflitti e la televisione non fa eccezione.
Ben più gravi della diversificazione fra network e produttori sono le ambiguità del nostro sistema, anche se, qui non si può obiettare, fa riflettere che in un regime di concorrenza, un contendente sia il produttore delle opere del suo avversario. D’altronde, il contendente in questione, possiede anche gran parte della pubblicità, un influente potere politico, una squadra di calcio ed è produttore, distributore ed esercente al cinema. Non c’è da stupirsi, dunque, che cerchi di produrre e distribuire anche in televisione. Anche ai suoi “avversari”.

Un ultimo appunto, di carattere comunicativo, andrebbe poi fatto a tutti coloro che, da posizioni avverse all’accordo, si scagliano contro i suoi fautori, pronosticando un futuro di Grandi Fratelli, di regimi opprimenti e totalitarismi culturali. Cosa accadrà se la realtà si rivelasse diversa? Il vostro avversario si vanterà della sua magnanimità e democraticità mentre voi sarete costretti a far marcia indietro.

“This is the end, my only friend, the end”. O forse è solo l’inizio?


_ Giampiero Francesca


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